mercoledì 31 agosto 2011

28/08/2011 Un balcone su Tovel: cima Loverdina (Brenta)

Dopo un sabato pomeriggio trascorso a sbinocolare le verdeggianti praterie di Prada e del Valandro, e il conseguente rientro alla luce delle frontali, domenica decidiamo di non puntare la sveglia.
Ci svegliamo così con calma e, dopo un'abbondante colazione, ci dirigiamo verso l'affollatissimo parcheggio di Malga d'Arza (1597 m). La bella radura è "invasa" da gitanti che hanno scelto di passare quest'ultima domenica d'agosto al fresco e in compagnia dei propri famigliari.
Superiamo la malga e c'incamminiamo lungo la strada forestale per poi imboccare il sentiero 330 che sale alla malga Termoncello.
Questo attraversa un suggestivo lariceto. Salendo con costanza giungiamo a Malga Termoncello (1852 m) dove decidiamo di pranzare comodamente seduti su una panca.
Di fronte a noi si staglia la Cima Loverdina che in questo momento risulta un po' troppo affollata. Aspettiamo che si liberi e poi c'avviamo lungo la via di salita che risale il corridoio nei mughi sul fianco nord. Giunti a una selletta percorriamo l'ultimo tratto di sentiero che ci conduce alla vetta (2237 m) e lì vicino, in beata solitudine, ci sediamo e contempliamo il panorama.

Ai nostri piedi si apre la val di Tovel dove, tra gli scuri abeti, occhieggia l'omonimo lago color smeraldo.
Dalle selve s'alzano al cielo i selvaggi bastioni della Catena Settentrionale.
Alle nostre spalle la fanno da padrone gli aspri dirupi e i ripidi ghiaioni della val Strangola e della val degli Inferni, valli sconosciute ai più.
Dal passo degli Inferni fanno capolino Cima Borcola e le altre cime del sottogruppo della Campa.
La nostalgia slovena è assopita da questo sublime panorama.

Per la discesa tentiamo una via alternativa, ma un'impenetrabile mugheta ci fa ben presto cambiare idea, così, accantonate le nostre velleità esplorative, torniamo alla selletta e scendiamo per la via di salita.
Nei pressi della radura della Termoncello prendiamo il sentiero 339 che ci conduce a malga Loverdina (1771 m).
Accompagnati dagli ultimi raggi di sole che illuminano il tetto della malga ritorniamo all'Arza e da qui all'auto.

In salita verso la Loverdina. Alle spalle di Claudio Malga Termoncello e il lago Tovel
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La catena settentrionale del Brenta
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Sbinocolando
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Passo degli Inferni e la Borcola
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Foto di vetta
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Abete
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martedì 30 agosto 2011

16-20/08/2011 Ancora Slovenia.. ancora Sneznik .. ancora orso :)

Ci sono posti che ti entrano nel cuore e che non ne escono più.
Posti che in qualche modo senti tuoi, nelle cui selve ti senti a casa.
I boschi dello Sneznik sono uno di questi posti.
Dopo una settimana trascorsa nel Parco Nazionale d'Abruzzo e una toccata e fuga in quel di Trento eccoci ancora una volta in viaggio verso Est destinazione Markovec dove, dopo le mille scarpinate abruzzesi, trascorreremo qualche giorno di "riposo".
Analogamente ai cacciatori di tornado, noi "cacciatori" d'orsi percorriamo quotidianamente alcune delle numerosissime piste forestali che come una ragnatela si snodano nel territorio dello Sneznik e dello Javorniki: doline, bosco, doline, bosco, senza cartina è impossibile orientarsi in questo labirinto di strade.
Diversamente da come ce lo ricordavamo ai primi di giugno, il bosco è secco, regnano polvere e aridità, ma ogni piccola e rara pozza di fango ci da conferma che le selve brulicano di vita: tracce di ogni specie, soprattutto di orso.
Piccole, medie, grandi ce n'è per tutte le taglie. La foresta ci parla.
Non si vede l'ombra di un turista, siamo solo noi, i boscaioli e qualche cacciatore che va a controllare la propria "zona".

Un giorno decidiamo di andare a fare un giro in un luogo poco lontano dall'albergo: delle grandi radure che avevamo scoperto, grazie all'aiuto di Miha, una fresca sera di giugno.
Parcheggiamo l'auto e c'incamminiamo lungo la carrareccia. Stiamo scendendo verso i prati quando su una mulattiera laterale notiamo del fango. Claudio scatta e con flemma proclama: "Orsi!".
Ci sono una marea d'impronte fresche, dalla dimensione potrebbe trattarsi di uno o più giovani orsi.
Proseguiamo incantati da questo libro della Natura.
Altro fango, altre impronte.
Procediamo quasi in silenzio.
Ad un tratto, circa 3 metri sotto di noi, un rumore e un movimento.
Una grossa massa marrone. Io e Cla, non ricordandoci che siamo in Slovenia e vista la nostra precedente esperienza in Trentino, pensiamo "Cinghiale".
Dalla massa sbuca una testa. Orso!
A giugno ne abbiamo sì visti 5, ma dall'auto.
Qui siamo solo noi e lui, niente lamiere.
L'uomo inerme e la fiera selvatica, come all'albore dei tempi.
Qualcosa mi scuote dall'interno, qualcosa di atavico.
Nella mente corrono mille pensieri, il cuore batte all'impazzata, mi manca il respiro, un mix di sentimenti si accavallano, ma la paura NON fa parte questi.
L'orso ci sbuffa e poi fugge via alla velocità della luce.
"Sconvolti" dall'incontro ci abbracciamo, quando ecco che di fronte a me, a circa una decina di metri, si para un altro orso.
Ci guardiamo negli occhi e le nostre anime si fondono.
L'istante si fissa indelebilmente nel mio cuore.
Incuriosito dalla scena si starà chiedendo chi sono quei due strani bipedi.
I due probabilmente sono fratelli, avranno 1 anno e mezzo, ovvero l'età in cui la mamma li lascia al loro destino e per un po' di tempo li si vede ancora bazzicare assieme. Fondamentalmente sono due "bambinoni" ingenui.
Un pensiero mi balena nella testa "Cavolo.. la mamma!"
Sussurro nell'orecchio di Claudio "Ce n'è un altro di fronte a noi, meglio allontanarsi che non ci sia anche la madre".
Ci prendiamo la mano e ci allontaniamo lentamente, ci voltiamo: anche il secondo orso è sparito nel nulla.
Ripercorriamo a ritroso la mulattiera e ritorniamo sulla pista.
Il cuore è un continuo martellare, trabocca di gioia.

Dopo il fortunato doppio incontro io vorrei andare a vedere il panorama da più in alto, Claudio invece vuole ricalcare il giro che avevamo fatto a suo tempo. Vince la sua proposta e scendiamo verso i pratoni.
Ad un certo punto il sentiero attraversa una fitta zona di cespugli.
Un rumore sulla sinistra attira la nostra attenzione, qualche metro sotto di noi, fra le ramaglie vediamo un profilo scuro.
No, non può essere ancora orso.
Guardo tra i rami e vedo un'inconfondibile profilo.
E' un altro orso, adulto questa volta. Ha le orecchie scure e la faccia grigia.
Ci squadra pacificamente e poi s'allontana lentamente.
Io e Claudio ci guardiamo increduli, alziamo il tono della voce e proseguiamo sul nostro sentiero fino alla radura.
Il cuore riprende a martellare.

Non paghi lo stesso giorno un giovane orso ci attraverserà la strada poco sopra l'albergo.

Nei giorni successivi abbiamo girato in largo e lungo, abbiamo fatto appostamenti all'alba e al tramonto, abbiamo visto numerose poiane, caprioli, una volpe, un allocco degli urali, ma niente orsi... anche se, forse, quell'ombra furtiva che all'alba s'aggirava tra gli abeti era lui, ma chi lo saprà mai?

Ancora adesso penso a quel giorno: se decidevamo per un'altra gita come volevamo fare prima di partire, se non percorrevamo quella stradina laterale, se salivamo anziché scendere, se a quel bivio non perdevamo del tempo.. se.. se... tanti se che messi assieme hanno reso una giornata indimenticabile.
Il destino, quel giorno, ha voluto farci un dono: l'orso, la nostra Itaca.

“Sempre devi avere in mente Itaca
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni,
e che da vecchio metta piede sull'isola, tu,
ricco dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo in viaggio:
che cos'altro ti aspetti?”

Costantinos Kavafis, Itaca


Cerkniško jezero e il Monte Slivnica
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Uno dei "nostri" due cuccioloni
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Sbinocolando
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Metulje
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Uno sguardo verso Piran
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Attenzione! Zona orsi
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Castello di Mašun
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Serenità
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lunedì 29 agosto 2011

20/08/2011 Ascesa al Mali Golaki (Trnovski gozd - Slovenia)

Il giorno del rientro, approfittando del fatto che dovevamo spostarci verso ovest, abbiamo fatto una breve escursione nella selva di Tarnova (Trnovski gozd).
L'altopiano carsico di Tarnova forma il limite nord-ovest dell'aria boschiva dinarica e, proprio grazie all'incontro di tre areali geografici-vegetativi – prealpino, dinarico e mediterraneo - la selva presenta un'elevata biodiversità.
Da Ajdovscina imbocchiamo la strada, tutta curve, che sale a Predmeja. Da questa località turistica proseguiamo per strada sterrata fino alla verdeggiante piana di Mala Lazna (1100 m).
Parcheggiata l'auto c'incamminiamo lungo la strada che porta alla famosa ghiacciaia di Smrekova Draga. Percorso un chilometro prendiamo a destra la scorciatoia per il rifugio Iztokova koča.
Il sentiero s'inoltra nelle selve. Siamo circondati da enormi faggi e profondissime doline.
Giunti al pittoresco rifugio (1260 m) proseguiamo verso la cima.
Il sentiero si fa sempre più ripido e risale la faggeta, l'afa ci fa penare! In circa 45 minuti, superando un ultimo tratto in mezzo ai mughi, calchiamo la cima del Mali Golaki – Monte Calvo (1495 m): la foschia preclude gran parte del panorama, ma verso nord riusciamo a intravedere la cuspide del Triglav.
Le cime della catena Golaki (Veliki - 1480 m, Srednji - 1479 m, Mali - 1495 m) sono le più alte del Carso occidentale e si alzano sopra la vegetazione arborea come lo Sneznik.
Facciamo la firma sul libro di vetta e poi, visto "l'affollamento", decidiamo di pranzare in solitudine, nel magnifico bosco che abbiamo attraversato prima di giungere al rifugio.

Così, camminando in religioso silenzio, assaporiamo questi ultimi passi in terra slovena.


In cima al Mali Golaki
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Piccolo amico
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domenica 28 agosto 2011

13/08/2011 Alla Grotta delle Fate percorrendo la val Fondillo (Parco Nazionale d'Abruzzo)

Aihmé è giunto il momento dell'ultima gita delle ferie abruzzesi.
Dopo un dolce risveglio partiamo alla volta dell'antica segheria della val Fondillo dove parcheggiamo l'auto (1084 m).
A differenza delle altre gite dove abbiamo incrociato poche persone, qui fin da subito c'è parecchia gente.
C'incamminiamo lungo la strada sterrata che, con andamento pressoché pianeggiante, segue il fondovalle. Questa valle fu abitata sin dai tempi del Paleolitico e a testimonianza di ciò sono stati trovati reperti di 300.000-12.000 anni fa.
Inizialmente seguiamo il corso del torrente Fondillo sulle cui sponde cresce una copiosa vegetazione riparia dove spiccano salici e pioppi. Man a mano che procediamo i prati si fanno sempre più radi e prende piede il bosco, qui tra i faggi, spuntano abeti rossi e larici, si larici.. i primi che vediamo da una settimana! Lungo la strada troviamo anche alcuni grattatoi.
Giungiamo allo stazzo della val Fondillo e finalmente cominciamo a prendere quota. La strada diventa mulattiera e il bosco s'infittisce, sulla sinistra fanno capolino le creste della Camosciara.
Dopo un po' troviamo il bivio per la Grotta delle Fate, una fenditura nella roccia – 20 metri ca sotto il sentiero - da cui prende vita il torrente Fondillo.
Stanchi da tutte le scarpinate dei giorni precedenti decidiamo di non salire, come avevamo in programma, al Valico dell'Orso e di scendere invece nei pressi della grotta, a pranzare al fresco.

Così trascorriamo le ultime ore di queste vacanze percorrendo a ritroso la lunga e verdeggiante val Fondillo.

Il mio pensiero vola sulle cime tondeggianti di questa parte d'appenino, ulula coi lupi, si perde nei silenzi delle radure, percorre le creste con l'orso marsicano, naviga sulle placide acque del lago di Barrea, corre con i camosci sui ghiaioni.. una parte di me rimarrà qui per sempre, rimarrà nel cuore pulsante dell'Appennino: il Parco Nazionale d'Abruzzo.


Orso :)
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Stazzo della Val Fondillo
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Particolare sul muro dell'antica segheria
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sabato 27 agosto 2011

11/08/2011 Da “casa” al monte Marsicano (Parco Nazionale d'Abruzzo)

Dopo aver portato preventivamente un auto alla Fonte Canala, sopra Pescasseroli, partiamo direttamente dal nostro campeggio Le Foci destinazione Monte Marsicano, il montagnone che si staglia di fronte a Opi.
Percorriamo un tratto di strada asfaltata poi prendiamo il bivio che conduce alla Masseria.
Dopo aver schivato l'ennesimo gregge di pecore con cani annessi giungiamo alla fonte Ciarlante (1280 m) dove beviamo e ci rinfreschiamo. Finora abbiamo attraversato pascoli degradati, ora però il paesaggio si fa più bello e la pista diviene sentiero.
Con belle vedute sullo sperone roccioso di Opi e sulla val Fondillo cominciamo la ripida ascesa. Il bosco ora s'infittisce e ci dona ombra e frescura fino allo Stazzo di Monte Marsicano (1590 m) .
Dopo aver appreso il fatto che quest'oggi rimarrò senza pane :D riprendiamo, a ritmi serrati, la marcia.
Man a mano le radure prendono il posto del bosco e il sentiero si fa ripido, ripidissimo.
Saliamo quasi in verticale sulla sinistra orografica di un canalone, poi lo attraversiamo.
I pascoli sono sempre più magri e qua e là emergono rocce e sfasciumi.
Il sentiero allenta un po', mica tanto, la morsa. Gli ultimi sforzi.. quella che pensavamo fosse la cima si rivela essere un'anticima, ma la vetta è fortunatamente vicina, è tondeggiante e un cumulo di sassi ne identifica la quota, 2245 metri: Berg Heil!
Ci accampiamo sul prato sommitale e ammiriamo il versante nordorientale, ricco di dirupi e circhi glaciali, e la selvaggia Orsara. Questo versante è quello più aspro e poco frequentato del Marsicano, luogo di caccia prediletto da lupi e orsi.
Ed ecco che cominciano a fare capolino i cervi... 3...4 .. 5 .. sempre più, sono abbarbicati lungo esili sentieri e cenge.. e poi, sulle praterie del versante meridionale, ci sarà un branco di oltre 50, ribadisco 50, cervi... è un pullulare di macchie rossastre!
In pieno delirio cervesco pranziamo riparati dall'efficiente telone montato dall'ing. Max.
Stiamo in cima due orette comode, nel frattempo arrivano anche 4 francesi (“Sosieeee... renard magnifiques!!" !) e un locale.
Verso le 14 cominciamo la lunga discesa che ci porterà a Pescasseroli.
Imbocchiamo il sentiero A6 che percorre la cresta nord occidentale del Marsicano, verso i Balzi altre tre cerve corrono sui prati e una coppia di gheppi s'alza in volo.
La temperatura è gradevole e il panorama a 360° s'estende fino ai gruppi Velino-Sirente e al Gran Sasso.
Giungiamo a colle Angelo e, per sentiero franato, scendiamo in un'idilliaca valletta. Mentre Max va in cerca di ramno, noi ci rilassiamo un po'. Riprendiamo poi la marcia, ora il sentiero si fa sempre più angusto e percorre il fondo secco del rio la Canala, nella valle di Corte.
Non è una brillantissima idea tracciare un sentiero sul fondo di un rio...
Ad un certo punto, mentre la valle si fa sempre più claustrofobica incontriamo una coppia di biker, rigorosamente con bici sulla spalla, che ci chiedono quanto manca al Marsicano, tutti e quattro li sconsigliamo vivamente di salire.. ma dico io .. studiarsi l'itinerario prima? Sti due disgraziati sono senza cibo e acqua e vogliono farsi ancora quasi 800 metri lungo sentieri che sono difficili da percorre anche a piedi? BAH!
Saggiamente ascoltano i nostri consigli e ci seguono a distanza.
Superiamo il bivio con il sentiero A4 e troviamo un grattatoio su un grosso faggio. Finalmente usciamo dal “maledetto” greto del rivo e percorriamo l'agevole forestale che conduce nelle verdi e ampie radure della valle di Pratorosso.
Comodamente scendiamo lungo la strada; prima di una stretta gola puntellata da maestosi faggi, troviamo un altro grattataio. Finalmente la valle si riapre ed ecco, come un miraggio nel deserto, il parcheggio della Fonte Canala.
Ci togliamo gli scarponi pieni di polvere e i piedi ringraziano sentitamente!


Trinità & Bambino :D
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Val Orsara
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In vetta
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Scendendo per la cresta
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Relax
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venerdì 26 agosto 2011

10/08/2011 Da Civitella alla Camosciara e al rifugio Belvedere (Parco Nazionale d'Abruzzo)

Ci troviamo in quel di Civitella Alfedena (1107 m) con gli amici Max e Giorgio, coincidenza in ferie anche loro in terra abruzzese.
Lasciata l'auto nella parte alta del paese - dove una cerva pascola beatamente all'ombra di un giardino - imbocchiamo una ripida strada asfaltata che poi diventa mulattiera.
Camminiamo tra muri a secco, relitto di vecchie colture ormai incolte e inselvatichite.
Proseguiamo verso ovest e costeggiamo alcune radure; sulla sinistra s'alza il monte Sterpi d'Alto e sulla destra s'apre la val Sangro, il Godi e il Marsicano.
Incontriamo i primi faggi, pini neri e ginepri. Raggiungiamo una grossa roccia con una croce in ferro (1187 m) e una fontana. Ci rinfreschiamo un po' e proseguiamo lungo il sentiero G4.
In vista dei monti della Camosciara c'inoltriamo sempre più nella valle, superiamo il torrente Scerto e ci troviamo sulla strada asfaltata che sale al piazzale della Camosciara.
Qui decidiamo di salire al rifugio Belvedere della Liscia e così imbocchiamo il ripido sentiero che sale per un'angusta valle percorrendo, manco a dirlo, l'ennesima suggestiva faggeta.
Il sentiero, a parte il bosco, non offre alcuna veduta. Giungiamo al rifugio, una piccola costruzione chiusa situata in un piccolo spiazzo, anche qui il panorama è precluso dalla fitta vegetazione.
Al fresco e lontani dal caos che regna nelle vicinanze, pranziamo e ci rilassiamo.
Ritornati al piazzale della Camosciara, beviamo qualcosa al bar e poi scendiamo lungo i bordi della strada asfaltata. Ad un certo punto imbocchiamo il sentiero G3 che riattraversa il torrente Scerto e sale, per ripido pendio costellato da ginepri, rosa canina e noccioli, fino alla fontana incontrata all'andata. Con il binocolo osserviamo alcuni cervi pascolare sui prati della Rocca Chiarano.
Proseguiamo e all'improvviso ci troviamo di fronte un greggio di pecore con i “soliti” cani che cominciano ad abbaiarci contro, facendo un po' di peripezie li accerchiamo e in breve giungiamo a Civitella.
Che dire di questa gita? Secondo me la Camosciara, o almeno questa parte di Camosciara, è il posto più sopravvalutato del parco.
Nota di demerito, l'area faunistica dove il parco tiene due linci è diventata una "foresta tropicale" (“Uè ma.. ce stanno i cervii?? I cervii, cerviii” cit.) lontana anni luce dall'habitat di questo splendido felino. A parer mio, piuttosto che tenere aree faunistiche in queste condizioni, parlo anche di quella di Pescasseroli dove fra gli altri c'è un orso bruno in una buca di cemento e una poiana in una gabbia "da canarini", è meglio non averne affatto.
Lo so, io parlo bene, vivo in una ricca provincia autonoma, posso immaginare che lì di soldi ne girano pochi, ma forse sarebbe meglio indirizzarli ad altro uso, magari per la lotta al bracconaggio. A riguardo mi piacerebbe sentire altri pareri.


Civitella Alfedena
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I tre ignuz
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Civitella Alfedena
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giovedì 25 agosto 2011

09/08/2011 Nel regno del camoscio d'Abruzzo: La Meta (Parco Nazionale d'Abruzzo)

Da Alfedena imbocchiamo la strada per il rifugio Campitelli (1445 m) nei pressi del quale parcheggiamo. C'è solo un'altra auto con una coppia di simpatici marchigiani che rincontreremo più avanti lungo la gita.. ah dimenticavo c'è pure un accampamento di scout che vediamo bene di evitare.
Ci dirigiamo verso una croce posta a lato della radura e c'inoltriamo nel silenzio delle selve. Ben presto la carrareccia diventa sentiero e comincia a salire nella faggeta.
Ci fa compagnia solo il cinguettio degli uccelli.
Oltrepassiamo un relitto di faggio e giungiamo alla fine del bosco.
Verso ovest fa capolino la mole de La Meta, magnifica!!! Nuvole basse ne lambiscono le irte pareti e nebbie entrano strisciando dalle creste. Ben presto l'occhio cade su una fatta sospetta: orso o lupo.
I due amici marchigiani ci raggiungono, chiacchieriamo un po' e, mentre noi ci fermiamo a sbinocolare, loro proseguono.
Superiamo i ruderi di un'antica casermetta (1775 m) e lungo il sentiero troviamo molti grossi sassi spostati, l'orso è passato di qui.
Le nubi ogni tanto mollano la presa e ci fanno ammirare la cresta che collega la Meta al Monte Tartaro e la conca dei Biscurri. Questo altopiano è caratterizzata da estesi fenomeni carsici, karren, inghiottitoi e dossi.. ci sembra di essere in Brenta.
Finalmente, sui grossi ghiaioni de La Meta, vediamo il primo gruppo di camosci, e poi via via che ci avviciniamo ne avvistiamo sempre più.
Nelle vicinanze della sella (1945 m) che separa La Meta dal Monte Miele, troviamo un'altra fatta. Da questo luogo il panorama spazia da un lato sull'appena percorsa Conca dei Biscurri e dall'altra sulla val Pagana.
Ci fermiamo a pranzare osservando estasiati le vertiginose corse dei camosci.
Il camoscio appennico (Rupicapra pyrenaica ornata) è un relitto glaciale proveniente dall'Asia rimasto isolato durante l'ultima glaciazione. Esso si differenzia dalle altre specie di camoscio principalmente per le corna, che sono assai più lunghe (30 cm ca contro i 20 cm di quello alpino) e per la colorazione del mantello invernale (più chiaro rispetto a quello alpino) ed estivo (ha un colore più rossiccio).

Zaino in spalla e ci dirigiamo a ovest. Attraversando il ripido ghiaione che scende dalla spalla de La Meta e che taglia la testata della val Pagana in breve calchiamo il passo dei Monaci.
Esso era un valico fondamentale per le comunicazioni tra Alfedena e Pizzone, ovvero fra Abruzzo e Lazio. Sotto di noi c'è un grosso gregge di pecore difeso da un pastore e da due bei cagnoloni.
Le nebbie corrono veloci dal Lazio, alla nostra destra si staglia La Meta, libera dalle nubi.
Decidiamo di attaccare la cima.
Saliamo con il vento che quasi ci sposta, le nubi ribollono, siamo a metà salita e quelle “bastarde” hanno riavvolto la cima. Proseguiamo comunque e, con non poca fatica, raggiungiamo i 2242 m de La Meta, uno dei monti preferiti dell'amico Fabrizio.
Tra la nebbia udiamo il fischio del camoscio ed eccolo lì, poco distante da noi, tra le rocce.
Ci studia per qualche minuto concedendosi alle nostre macchine fotografiche e poi sparisce.
Per fortuna le nubi si alzano un poco e possiamo finalmente godere della vista sul versante abruzzese: il colpo d'occhio sulla valle che abbiamo percorso in salita e su quella che percorreremo in discesa è mozzafiato.
Stiamo in cima un po', poi caliamo al passo dei Monaci e cominciamo la discesa in val Pagana.
Ad un certo punto re-incontriamo i due amici marchigiani che stanno ritornando sui loro passi, ci dicono che il sentiero passa in mezzo a un gregge di pecore e che i cani da guardiania hanno cominciato ad abbaiarli minacciosamente contro. D'altro canto il lavoro di questi bellissimi animali, i pastori abruzzesi, è quello di tenere compatto il gregge e di allontanare qualsiasi potenziale minaccia.
Mentre nel cielo una coppia d'aquile lancia il loro grido, osserviamo il gregge con il binocolo: si è spostato dal sentiero. Tutti e quattro decidiamo quindi di proseguire, se non altro l'unione (e le racchette da trekking) fa la forza. Superiamo indenni cani e pecore e proseguiamo lungo il fianco meridionale del monte Miele.
Rieccoci nella faggeta e c'imbattiamo in numerose ossa di un grosso animale, cavallo o mucca presumo. Scendiamo lungo il centro della valle fino alla presa idraulica dove una strada ci porta nell'ampia Conca delle Forme (1350 m).
Da qui prendiamo il sentiero L4 che ci porta in meno di un'ora al parcheggio alle auto.
Salutiamo i nostri compagni d'avventura e ritorniamo a quella che per 8 giorni è stata la nostra casetta, la roulotte n°7 del Camping Le Foci di Opi.



Conca dei Biscurri
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Uno dei tanti branchi di camosci
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Contrasti
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Camoscio d'abruzzo
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La via di salita a sinistra e la via di discesa a destra
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Foto di vetta :)
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Gregge fra la nebbia
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mercoledì 24 agosto 2011

08/08/2011 Tentativo di wolf-howling al passo del Diavolo (Parco Nazionale d'Abruzzo)

Ancor prima di partire per l'Abruzzo ho prenotato, con la cooperativa Ecotur, la serata dedica al wolf-howling così eccoci alle ore 20.00 precise a Pescasseroli in fremente attesa per la serata.
Siamo in 40 (truzzi compresi) e questa situazione già ci mal dispone, ma si parte comunque. Raggiungiamo in auto il Passo del Diavolo e poi ci si divide in due gruppi capitanati da due guide.
La guida ci spiega un po' la biologia del lupo e poi ordina a tutti di spegnere cellulari, torce e di stare zitti.
Incredibilmente tutti obbediscono e ci ritroviamo a camminare in fila indiana dietro alla guida.
La luna, che è quasi piena, illumina i prati, i boschi e le creste dei monti.
Qualche lucciola accompagna il nostro incedere.
Sono un tutt'uno con il bosco. Percepisco ogni rumore.
Giungiamo in una piccola radura, la guida ci fa sedere su dei sassi e poi fa partire la registrazione degli ululati: se nella valle ci sono lupi risponderanno al richiamo per far sapere che quel territorio è occupato.
Il solo sentire questa registrazione, nel buio del bosco, mi fa venire la pelle d'oca.
Attacca un lupo, un altro, gli uggiolii dei piccoli e poi tutti all'unisono.
E' solo una registrazione ma l'emozione è unica.
Al primo tentativo segue il silenzio. Proviamo una seconda volta ma ancora nulla.
Ritorniamo sui nostri passi, questa volta accendendo le frontali e un po' di magia svanisce.
In un'altra radura facciamo un terzo tentativo, ma anche le guide ammettono che, se ci sono lupi, solitamente rispondono al primo richiamo.
Così, dopo un'ulteriore chiacchierata, ce ne ritorniamo alle auto, con le pive nel sacco, ma con una bella esperienza "in curriculum".

martedì 23 agosto 2011

07/08/2011 Da Pescasseroli al Monte Tranquillo (Parco Nazionale d'Abruzzo)

Inauguriamo le nostre vacanze abruzzesi con la bella salita al Monte Tranquillo.
Parcheggiamo l'auto a Valle Cupa nei pressi delle stalle della Difesa (1191 m) e c'incamminiamo, per strada sterrata, al fontanile della Difesa (1230 m).
Dopo esserci rinfrescati, proseguiamo lungo la carrareccia che attraversa le immense faggete della foresta della Difesa, una delle meravigliose location del film “La volpe e la bambina”.
Giungiamo in una radura con in mezzo un grosso masso con una croce. Ora abbandoniamo la strada e ci addentriamo nella frescura del bosco. Il sentiero si fa ripido, ma, tra le verdi chiome dei faggi, intravediamo il Santuario di Santa Maria di Monte Tranquillo (1597 m).
All'ombra del santuario, con ampio panorama su Pescasseroli e il Marsicano, facciamo una breve pausa.
Attraversiamo poi una radura con un piccolo edificio e zigzagando giungiamo al valico di Monte Tranquillo (1673 m) dove, affacciati sul Lazio, pranziamo.
Dopo aver mangiato decidiamo di salire in vetta al Monte Tranquillo (1841 m), così, arrancando su un'ertara immonda, conquistiamo la cima. Dalla vetta si gode di un ottimo panorama sulla valle del Sangro, sui monti del parco e sulla val del Liri verso il Lazio.
Il vento mitiga l'azione del sole, ci rilassiamo e diamo una letta alla guida del parco, poi scendiamo per l'altro ripido versante e ci fermiamo nella radura nei pressi del santuario.
Per la discesa decidiamo di percorrere per intero il sentiero c3; lungo la via c'imbattiamo in altri vetusti faggi. Sbuchiamo al rifugio della Difesa (1278 m) e ci ritroviamo in mezzo alla caciara, ci diamo quindi alla fuga e in breve arriviamo al parcheggio.

Capitello votivo lunga il sentiero
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Riflessioni
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Santuario di Santa Maria di Monte Tranquillo
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Monte Tranquillo
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Il cancello del santuario
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lunedì 22 agosto 2011

Siamo tornati!



Finite anche queste ferie... una settimana trascorsa dai fratelli marsicani e un'altra dai fratelli sloveni.
Con il tempo arriveranno i fotoreport e il racconto dell'incontro più bello, finalmente abbiamo visto l'orso (anzi TRE) faccia a faccia, non dai vetri dall'auto, ma a pochi metri lungo il sentiero..i nostri respiri si sono fusi, un'emozione indescrivibile!