sabato 12 luglio 2014

Amarcord. 26/07/2008 Traversata della Campa (Brenta sett.)

La zona settentrionale del Brenta si divide in Catena Settentrionale (dal passo del Grostè al Monte Peller) e nel Sottogruppo della Campa (dal passo della Gaiarda alla Val S.Maria Flavona e Val Sporeggio). Le due zone sono divise dalla superba Val di Tovel.

Sabato, viste le ennesime previsioni orribili che davano il peggio verso nord-est abbiamo deciso di rimandare la salita alla Wildekreuzspitze, un tremila della Val di Fundres, a tempi meteo migliori.
Come degna e grandiosa alternativa, proposta da Max, decidiamo di compiere la traversata della Campa: una marcia di 8 ore nel Brenta nord orientale, selvaggio e poco frequentato, e infatti, lontano dalle malghe, non abbiamo incontrato alcun bipede.

Ci troviamo a casa mia per le 6.45 e dopo aver caricato tutto e tutti sulla mia fedele Ombromanty II siamo partiti alla volta della Val di Non (Not Valley :P ).
Nell’abitato di Cunévo imbocchiamo la strada asfaltata per Malga d’Arza, una strada di 10 km che ci porta, con divertenti curve a gomito che – per la gioia di Max – affronto molto sportivamente, al parcheggio a quota 1478 m.

Il cielo è coperto, ma per fortuna le nubi sono alte e quindi non c’impediscono la vista sugli amati monti.

Sono le 8.05 quando imbocchiamo la strada forestale (sentiero 330) che in poco tempo ci porta a Malga d’Arza (1507 m). Oltrepassato l’alpeggio proseguiamo, sempre lungo la strada, quand’è che l’occhio cade sul soffice tappeto di muschio: degli stupendi porcini ci osservano.
Ignorato il bivio con il sentiero 330 per la Malga Termoncello (dal quale poi scenderemo) proseguiamo sul segnavia 370, che dopo lievi contropendenze, ci porta a Malga Loverdina (1771 m) dove ci fermiamo per una breve pausa.

Ancora una volta ignoriamo il bivio con il sentiero 339 che porta anch’esso a Malga Termoncello e proseguiamo per una radura; dopodiché cominciamo a salire repentinamente percorrendo un bel bosco di larici e abeti. Controlliamo morbosamente il terreno in cerca di tracce del passaggio del Re dei nostri boschi, ad un certo punto troviamo un formicaio distrutto, uno dei suoi segni di presenza.
E’ in questi boschi che gli ultimi esemplari d’orso autoctono sono sopravvissuti, per poi estinguersi definitivamente per colpa della persecuzione umana.
Continuo il mio cammino a testa bassa, attenta, mentalmente chiedo loro perdono.

Proseguiamo verso sud, ora siamo in mezzo ai mughi e ai rododendri, siamo inebriati dai profumi che essi emanano, un vero toccasana. Alcuni forcelli, lontano da noi, si alzano dai mughi.
Saliamo senza tregua, l’ambiente ci strega, ci rapisce, il desiderio di vedere cosa c’è oltre ci fa accelerare il passo; in alto verso destra si trova il passo degli Inferni e la valle dell’Inferno.
Sto parlando con Flavio quand’è che si alza (“non nel senso che l’ho alzà” :P nda) in volo un forcello, a pochi metri da me, perdo dieci anni di vita per lo spavento, ma per un incontro ravvicinato con questo tetraonide ne vale la pena.

Saliamo ancora ed eccoci ad una forcelletta affacciata sulla conca di Malga Campa e sull’omonima valle. Rimango senza fiato.. davanti a me un paesaggio famigliare: Cima Tréttel, Cima Borcola e la cresta dentellata che culmina con la Cima della Sporata. La vista che da 26 anni, ogni giorno, mi si para dinnanzi, dal versante opposto, da casa mia.
La memoria corre indietro negli anni e vedo una piccola bimba con i capelli a caschetto che dal poggiolo di casa si mette a guardare con il binocolo (QUEL binocolo :P) queste lontane cime…

Finito di rimembrar il tempo andato, scendiamo per un canale attrezzato con cordino che ci fa perdere una 40ina di metri di dislivello (sgrunt!) e poi raggiungiamo Malga Campa (1978 m) dove troviamo alcune persone intente a spaccare legna.

Altra breve pausa ristoratrice e poi c’inoltriamo verso ovest, nella valle della Campa seguendo il sentiero 338. All’ombra della cima della Sporata, presso un curioso masso bucato, “perdiamo” mezz’ora a scalare rocce e a fare foto ignuz & pirlable.
Terminato lo svago proseguiamo verso l’Alpe Campa.

“What a wonderful world!”

Dopo gli ultimi larici solitari, solo rocce e prati d’alta quota. Negritelle, campanule e stelle alpine tappezzano il terreno.. ovunque spazi lo sguardo, fiori e fiori, a perdita d’occhio.
Vicino ai ghiaioni ecco che fanno capolino anche la silene a cuscinetto e il papavero retico.
Proseguiamo il nostro cammino prestando molto attenzione a non calpestarli.

“What a wonderful world!”

Saliamo per una traccia di sentiero e in vista della Bocchetta della Val Strangola, pieghiamo a sinistra per il sentiero 369. A quota 2300 incontriamo il primo nevaio, Flavio si mette in posa per la classica foto di rito.
Siamo quasi arrivati al giro di boa, la bocchetta di Valscura (2376 m) dalla quale la Catena Settentrionale prorompe con tutta la sua regalità.
E’ quasi l’una e ci fermiamo per pranzare; nel frattempo il cielo si è scurito parecchio, Flavio scruta perplesso le nubi e ci consiglia di mangiare velocemente.

Finiamo di mangiare e poi cominciamo la discesa per i ghiaioni della Val Scura, costellati qua e là da nevai (l’ultimo, su lato nord, lo troviamo a circa 2100 m) dove Max dà sfogo alla sue performance sciistiche “ebbene sì, maledetto Carter..”.

Ad un certo punto un movimento tra le bianche ghiaie attira la mia attenzione: un fantastico branco di camosci sta correndo a rotta di collo giù per una parete verticale, sono in 19, tra cui 6 piccoli.
E’ meraviglioso vederli correre, liberi, selvaggi, impavidi! Una punta d’invidia mi percorre.

“What a wonderful world!”

Poi l’incanto è rotto da un brontolio. Il temporale incalza. Cominciamo a correre giù dal ghiaione, solo il tempo di un veloce sguardo verso l’alto per poter ammirare l’aquila in volo sopra la Cima della Val Scura, e via.. fuga!
Aumentiamo l’andatura, i brontolii si avvicinano, sono praticamente sopra di noi.

Arriviamo sul sentiero 330 che parte da Malga Flavona, mi giro verso la testata della valle e mi viene un colpo al cuore: l’alta valle è martoriata da un furioso rovescio bianco, è grandine, il Turrion fa paura.
Mi volto e corro, sto crepando dal caldo, sento sul collo l’alito della tempesta. Comincio a pregare fra me e me. Quando la Natura si scatena sa esser meravigliosa, ma altrettanto terrificante!

Lungo questo sentiero due anni fa vidi per la prima volta le impronte di mio fratello orso.

Il temporale incalza, ma per fortuna scappa via di lato e ci risparmia, non prendiamo nemmeno una goccia.

Nella Val Strangola ci fermiamo e riprendiamo un po’ di fiato, sotto di noi  il lago incantato, Tovel.
Dopo questa breve, ma rinfrancante, pausa affrontiamo la maledetta rampa che tramite il Passo di Termoncello ci porta all’omonima malga (1852 m).
Qui, nel vicino bivacco Quetta, ci riposiamo, ma nemmeno il tempo di togliere gli scarponi che arrivano i sms di Claudio che ci avvisa che il radar sta caricando altri temporali, proprio sopra la nostra testa. Così, rassegnati, imbocchiamo il sentiero 330 che in 40 minuti, attraversando prima un bosco d’abeti e larici e poi una faggeta, ci porta a Malga d’Arza.
Il bosco ci fa un altro prezioso dono, dei stupendi gigli martagoni! Spettacolari!
Saliamo in auto, chiudiamo la portiera e si scatena l’ira di Dio… tuoni, fulmini, saette… il Brenta poco dopo sarà imbiancato dalla grandine!

Giornata dalla molteplici emozioni.. serenità e paura, forza e fatica, gioia e delusione.
Giro di 18 km e con un dislivello totale di oltre 1100 metri.. 18 km senza incontrare umano.
Solo noi - tre pirlable - la montagna e la Natura.

Anche questa volta m’è sfuggito (to be continued).



























Amarcord. 28/06/2008 In compagnia dei camosci: giro ad anello Val d’Ambiez e Jon (Brenta merid.)

“Non lasciamo che i nostri ideali ci rendano soddisfatti di noi stessi.
Ognuno di noi,
in scala più o meno grande
contribuisce allo sfruttamento e alla distruzione della terra,
allo spreco e all'inquinamento.
Abbiamo semplicemente la possibilità
di camminare più vicino alla Buona Strada.
Non di colpo, ma tappa per tappa in questa direzione,
finché non riusciamo a tornare su questo sentiero.
Per coloro che sanno ascoltare,
le voci parlano ancora.
Saupaquant, Wampanoag”

Eh già, quanta verità in queste sagge parole, si può essere virtuosi finché si vuole, ma comunque si sgarra, ma questo non significa che bisogna arrendersi; per me, cercare di camminare più vicino alla Buona Strada, significa avvicinarsi sempre più al mondo naturale, osservarlo e amarlo soprattutto nei piccoli dettagli e ha ragione questo saggio capo indiano “per coloro che sanno ascoltare le voci parlano ancora”, queste voci le ho sentite spesso in montagna, ma in particolar modo le ho sentite più forti sabato, mentre ero con Claudio, Flavio e Max in luoghi reconditi e selvaggi del Brenta. Per 10 ore solo noi, i camosci, la voce del vento, dei prati, dei fiori e delle rocce, solo una voce mancava all’appello, quella di mio fratello orso che dimora in quei luoghi, ma anche se non la si sentiva, la si percepiva.

Fatta questa doverosa premessa veniamo alla gita di sabato.
Dopo aver vagliato varie possibilità, con Max – il capogita :P – si decide di fare un lungo giro in Brenta meridionale; la scelta cade sul giro ad anello Val Ambiez e Val Jon, luoghi dimenticati dagli escursionisti. Le premesse sono ottime: lungo sviluppo chilometrico, 8-9 ore di pura camminata e oltre 1500 metri di dislivello, i “massacri” che adoro!
Così ci troviamo alle 7 lungo l’Adige; il nostro parcheggio di fiducia, lo Zuffo, è chiuso perché nel week-end si svolgerà la gara schifautomobilistica Trento-Bondone, con tutto ciò che segue e ne consegue ovvero gente ubriaca che corre lungo la strada, rifiuti nei prati e sugli alberi e rave-party. BAH!
Dopo aver parcheggiato saliamo tutti in auto di Claudio e imbocchiamo la Val dei Laghi.

Una volta giunti a San Lorenzo in Banale, prendiamo la strada che risale la Val d’Ambiez e parcheggiamo l’auto nei pressi dell’Albergo Dolomiti (850 m circa). Siamo nel parco naturale Adamello-Brenta.
Alle 8 e 10 circa inizia la nostra avventura. Attraversiamo un ponticello e ci troviamo davanti una specie di casa dell’acquedotto, più o meno recintata, non vedo tracce di sentieri, chiedo a Max “n’delo el senter?” e lui “lì!” indicando un accumulo di ghiaia “uhm..sarà”.
Risaliamo la ghiaia e troviamo il sentiero, il tipico sentiero da “cazadori”, dopo qualche minuto c’imbattiamo in una scaletta d’acciaio che ci permette di superare uno sbalzo roccioso. Il sentiero sale ripidissimo per un bosco di faggi, il caldo è soffocante, sembra di essere nella giungla: caldazza immonda!
Finalmente siamo ai masi Dengolo (1271 m), imbocchiamo il sentiero 342 e usciamo dalla sauna, beviamo un po’ d’acqua calda :P e proseguiamo in leggera salita. Questo tratto di sentiero attraversa dapprima prati costellati da gigli rossi (Lilium bulbiferum), poi mughete e ghiaioni detritici. Lungo la strada m’imbatto anche in uno stupendo esemplare di Scarpetta di Venere (Cypripedium calceolus), tipico dei terreni calcarei, che mai prima mi era capitato di vedere.
Ammirando le cime della testata della valle – Cima Ceda, Tosa, d’Agola, d’Ambiez ecc.. – e i verdi pascoli di Malga Ben giungiamo a Malga Senaso di Sotto (1578 m).

Dopo una breve pausa abbandoniamo il sentiero principale che conduce al rifugio Cacciatore e cominciamo a tagliare verso sinistra percorrendo la vecchia traccia di un sentiero in disuso. Dopo una bella rampetta giungiamo ai ruderi di Malga Senaso di Sopra (1847 m). Il sentiero che arriva dal Cacciatore, il 348 - itinerario Garda-Brenta - che dobbiamo prendere, corre più in alto, ci attende quindi ancora un bello strappetto. Io e Claudio andiamo avanti, risaliamo il costone un po’ a casaccio, facendo slalom fra le ortiche – basta trattenere il respiro :P - e i sassi di un ghiaione, infine eccoci giungere sul sentiero.
Mi giro un attimo e vedo un stupendo esemplare di camoscio correre tra le rocce, chiamo Flavio e Max che alzano lo sguardo giusto in tempo per vedere questo regale animale risalire una parete quasi verticale, fermarsi su una cengia, fischiarci addosso– fiuuuu fiuuuu fiuuuu - e poi, dopo essersi fermato qualche secondo su uno sperone di roccia, scomparirvi dietro. Sarà il primo di una lunga e fortunata serie d’incontri.

Stiamo per entrare nella Busa di Senaso, dinnanzi a noi vi è la parete nord dei Maruggini. C’è un piccolo nevaietto che fa la gioia di Flavio, in altro sui ghiaioni altri camosci. Ci si ferma e si scatta qualche foto.
Nel frattempo il cielo s’è coperto, le nubi coprono le cime e la nebbia comincia a entrare silenziosa dalle forcelle e a strisciare tra i massi donando fascino a questo ambiente lunare.
Il sentiero ora risale un dosso coperto da mughi e rododendri in fiore, alla nostra destra su un nevaio un camoscio – che a me sembrava morto vista la strana posizione - cerca refrigerio, disturbato se ne va via.
Proseguiamo per il sentiero che ora taglia un ghiaione, compiamo un traverso delicato su di un nevaio, mentre i soliti camosci ci stanno a guardare dal basso, e infine eccoci giungere alla Selletta della Colmalta (2276 m).

E qui un nuovo mondo mozzafiato ci si presenta dinnanzi: se dall’altra la ghiaia e le rocce la facevano da padrone, da questo lato sono i prati a dominare. Questo versante delle Maruggini sono un ripido, ripidissimo, tappeto verde!!!
Ci fermiamo un po’ vicino a questa selletta e l’ennesima scena commuovente ci si para dinnanzi: sotto di noi, su di un dirupato costone erboso, giovanissimi camosci si rincorrono su e giù, giocano, ruzzolano, sembra che anche la nebbia giochi con loro, si buttano in picchiata giù da questi dirupi per poi sbucare fuori dall’altro lato “ma come diavolo faranno?” penso. E’ uno spettacolo meraviglioso che ti lascia a bocca aperta.

Dopo una piccola pausa e un obiettivo salvato dal dirupo :P ci ricarichiamo gli zaini in spalla; mi cade l’occhio sul prato di fronte a noi e la vedo, una piccola striminzita e secca Edelweiss, la stella alpina. Piccole, ma grandi gioie.
Il sentierino ora si fa abbastanza delicato, traversa quasi orizzontalmente il prato-dirupo, caldamente sconsigliato in caso di pioggia; a metà sentiero mi fermo e guardo verso il basso, Max mi consiglia di muovermi, ma io voglio stare là qualche secondo, appositamente per abituarmi. Guardo in basso, percorro con lo sguardo i fili d’erba che si perdono rapidamente nel Vuoto, ma stavolta non mi frega, gambe e mente sono salde, alzo lo sguardo faccio spallucce e proseguo.
Stiamo percorrendo l’alta valle di Jon, di fronte a noi avvolto dalle nubi il Castello dei Camosci e il “glorioso” Monte Pizzo (vero Cla?), sotto di noi i soliti camosci che giocano su dei nevai. Lacrimuccia.

Superato il pezzo più delicato, alle 14 passate decidiamo di fare pausa pranzo, incredibile come regga il mio fisico in montagna, lassù mangio poco, ma quel poco che mangio, principalmente cioccolata e frutta secca, è molto sostanzioso.. andrei avanti ore e ore a camminare solo con poche noci e qualche scacco di cioccolata.
Sostiamo un poco e, come sempre, quando gli uomini dormono :P, io vado in esplorazione. Magnifici esemplari d’orchidea costellano il prato, mi sposto fin sopra il lago d’Asbelz, e continuo a guardarmi attorno, osservo tutto attentamente nella vana speranza di vedere Lui, ma niente da fare, così dopo un po’ ritorno dagli altri e si ritorna in marcia.

Scendiamo così per ripido prato fino al mitico (!!!) lago d’Asbelz (2016 m), foto di rito con Claudio e poi giù verso la malga Asbelz (1956 m) seguendo il sentiero 349. Ci aspettano ancora due orette di cammino.
La discesa ora segue una specie di mulattiera, che percorre una larga cengia; parecchi metri sotto di noi, il fondovalle della val di Jon, verdi pascoli e ancora camosci.
Il sentiero ora taglia l’erta fiancata delle Pezze e dopo poco ci ritroviamo immersi in un fantastico enorme prato in fiore. Magnifico. Con Claudio fantastichiamo ursinamente.
Oltrepassato l’ameno prato, entriamo in uno scosceso bosco di faggi e raggiungiamo velocemente i masi di Jon.
Sta per arrivare il colpo di grazia, è da oltre 9 ore che camminiamo, e cosa ci aspetta? Una odiosissima mulattiera sassosa che precipita a valle con pendenze agghiaccianti! Ad ogni curva c’è una Madonna.. e si capisce anche il perché…
Ma stringendo i denti, passo dopo passo, arriviamo al Pont de Baèsa (796 m). L’auto però è parcheggiata a quasi un chilometro di strada, ovviamente in su, così, visto che io e Claudio, stanchezza a parte, stiamo bene, mentre i poveri Flavio e Max hanno le ginocchia in fiamme, decidiamo di andare, in solitaria, a recuperarla.

Recuperata l’auto e con l’inno d’Italia a manetta raggiungiamo i nostri, a seguire si svolgerà il rito di consegna diploma da “trecimoto” a Max! mah!

Questa è la montagna che amo.

E come degna conclusione lascio una frase che capiranno solo i presenti alla gita:
“Sé na istoria fantastic.. peca che l’è totalmont fals.. mmmh mmmh mmmh.. la grugnì e la tuil.."