sabato 23 agosto 2014

Amarcord. 05/06/2010 Assieme ai camosci al passo Ceda (Brenta meridionale)

Parallela alla più famosa e frequentata val delle Seghe, la val di Ceda si addentra nel cuore del Brenta fino ai piedi della regina Tosa. Si tratta di una valle disposta su più gradini e che alterna zone più o meno “piane” e tratti molto ripidi. I sentieri sono battuti per lo più da cacciatori, gli escursionisti che vi transitano in una stagione penso si possano contare sulle dita di una mano. Alla testata della valle c'è il passo Ceda, oltre si distende la pozza Tramontana e dietro... ma andiamo con ordine..

Max, dopo aver passato dieci giorni in mezzo agli orsi finlandesi, ha un forte desiderio di ripercorrere sentieri casalinghi, ci propone così la val Ceda. Io e Claudio accettiamo al volo e attendiamo la sua venuta.
Partiamo da San Lazzaro alle 8 e verso le 9 eccoci, con pesantissimi zaini sulle spalle, pronti a partire: siamo nei pressi del ponte romano (840 m), sopra Molveno, a pensare ai circa 1400 metri di muro che ci attendono sono già elettrizzata (nonchè accaldata).
Prendiamo una traccia in mezzo al bosco e cominciamo la lunga salita, fa molto caldo. Risaliamo per una faggeta a ceduo e in breve siamo sulla strada forestale che porta alla Malga di Andalo. La percorriamo per un tratto poi imbocchiamo il sentiero 326 che sale ripidissimo per il bosco.
Mano a mano che si sale la valle si apre e sboccia come un fiore in tutto il suo splendore, siamo incassati nella forra che ha scavato il rio Ceda, ai nostri fianchi dirupate pareti. Dopo un tratto assai ripido, il sentiero “spiana” un po' e ci permette di tirare il fiato.
In questa valle, un mesetto fa, con la fototrappola è stata fotografata la lince e nel posto dove pensiamo siano state scattate le foto ci fermiamo un po'. C'è una radura sotto ripide pareti, comincio ad avvicinarmi ed ecco un camoscio, il primo di una lunga serie. Estasiati zompettiamo qua e là sotto le rocce.
Ripartiamo di nuovo ripidamente, nel frattempo si apre anche la vista sui Monti Dion, Cima Soran, i Rossati e il Doss del Dalun; si odono echi di frane.
Giungiamo ai ruderi dell'ex malga Ceda Bassa (1434 m) e poco oltre sbuciamo in un radura, un rumore ed ecco un camoscio che quasi ci viene addosso e sopra altri due.
Spettacolo!!! Siamo ormai quasi fuori dal bosco, risaliamo con fatica un ghiaione franoso e ci troviamo in un altro spiazzo, quello dell'ex malga Ceda Alta (1888 m), alla nostra sinistra le pareti dirupate di Cima Sparaveri e il Monte Cresole. Una panciuta marmotta fa capolino da un grosso masso. Decidiamo di mangiare poco sopra a quota 2000, in un altra radura.
Ci sediamo su di un grosso masso e ancora prima di mangiare ecco altri due camosci correre via su per la val Daino, poi ne vediamo altri due venirgli incontro da un nevaio. Sto per addentare un cracker quando in alto, verso il passo, noto l'elegante siloutte di un camoscio “dipinta” su di una nube bianca, una visione che mi tocca profondamento il cuore, poi ne arriva un altro, prendo il lungo – dopo tutta la fatica che ho fatto a partarlo – che meraviglia.. tra fischi e corse se ne vanno e seguono la via dei loro precedenti compagni. Una marmotta esplora il pianoro ed ecco anche l'aquila che giunge celermente alle nostre spalle.
Non c'è nessun altro, siamo solo noi tre e gli animali, i veri padroni del Brenta. Estasi.
Mentre Claudio e Max riposano io zompetto qua e là, incapace di stare ferma, animo inquieto che vaga di masso in masso, che scala montagnole, che si perde a guardare cime, impronte sulla neve, genziane, soldanelle, mughi, formiche.. ogni cosa, ogni dettaglio ha per me importanza.

«Non cercate nel Monte un'impalcatura per arrampicare, cercate la sua anima». Julius Kugy.

Lasciamo gli zaini dietro a un masso e armati di macchine fotografiche, binocoli e lungo saliamo verso il passo. 200 metri ci separano dalla meta.
Ovunque si posa lo sguardo c'è da rimanere stupiti, saliamo senza tregua e mano a mano il panorama cambia, incontriamo alcuni nevai che nascondono insidiose fessure carsiche (vero Max?)..e laggiù oltre il colle nevoso.. ecco che emerge qualche bastione roccioso.. aumentiamo l'andatura e poco a poco ecco materializzarsi la Tosa, Cima Margherita, la bocca di Brenta, la Brenta Bassa e Alta e sotto la pozza Tramontana. Brividi.
Giungiamo al passo Ceda (2223 m) e siamo senza fiato per l'emozione.
Tra una foto e l'altra trovo una fatta sospetta, sarà lince? La raccogliamo.. le analisi genetiche ci diranno qualcosa.
Ci perdiamo un buon quarto d'ora ad ammirare questi bastioni rocciosi poi ritorniamo sui nostri passi non prima di aver scattato qualche foto con una coppia di pinguini e dopo aver “salvato” Max da un crepaccio.. te l'avevo detto che c'erano i buchi!!!
Riprendiamo gli zaini e scendiamo ancora estasiati, sono ormai le quattro passate. La malga Alta, il ghiaione, altri camosci, la malga bassa, il bosco, la radura e un altro camoscio, il sentiero con sullo sfondo il lago di Molveno, la faggeta, la fontana, la forestale.. tutto passa veloce come un film.. poi Max esclama: “Cavolo ho dimenticato gli occhiali alla fontana, vado a prenderli”.

Silenzio. Passi nel bosco. Pssss. “Crack” qualcosa ha spezzato un albero.
Cuore a mille “Cavolo, non è giusto .. Max non c'è.. “
Silenzio. Ritorna Max. Silenzio.
Scediamo per una strada laterale, altri passi e poi nulla.
Solo un animale ha la forza di spezzare gli alberi così.

E così con l'ombra dell'orso alle calcagne rieccoci nuovamente all'auto.
Ho lasciato un altro pezzetto di cuore sul Brenta.



















giovedì 21 agosto 2014

Amarcord. 27/10/2009 Il cuore del Parco Naturale Adamello-Brenta: la val di Tovel

Risaliamo la val di Tovel, la giornata è tersa e il bosco è infuocato dai caldi colori autunnali.
Presso l'albergo Capriolo imbocchiamo la lunga strada sterrata che sale verso Malga Tuena, tutti i sensi sono in allarme, siamo nei boschi preferiti dal Re.
Dopo 9 chilometri di strada più o meno dissestata eccoci al divieto, nei pressi del quale parcheggiamo l'auto (1600 m).
Compagno dell'escursione odierna è Max che è da quando che conosco che mi propone questa gita: il fantomatico sentiero 311! Sentiero che, a suo tempo, la SAT aveva abbondato per garantire pace e tranquillità agli ultimi esemplari di orso trentino quivi rifugiati.
Con zaini pieni di macchine fotografiche e binocoli c'incamminiamo, lungo un bel e panoramico sentiero, verso la malga Tuena.
Quando usciamo dal bosco siamo letteralmente rapiti dalla vista della succitata malga (1740 m): un lungo edificio con sullo sfondo la testata della val di Tovel, una grande distesa di boschi di abete e rosso larice e più in alto il Campo Flavona e le cime imbiancate dalla neve.
Dalla malga prendiamo la strada forestale e poco oltre imbocchiamo il sentiero 311: alla faccia che non dovrebbe esistere.. c'è tanto di cartello del parco con segnato “311 – Rifugio Peller”.
Il sentiero corre lungo ripidi pendii, a volte è un'esile traccia sospesa su scoscesi canaloni; saliamo di buon passo e giungiamo nei pressi di una sella con vista magnifica sulla perla di questa valle: il lago di Tovel!
Proseguiamo tagliando i fianchi orientali della cima dell'Omet e delle Pale della Vallina. Il sentiero è un continuo sali e scendi, più scendi che sali a dire il vero. Ad ogni angolo la visuale è grandiosa, canaloni che precipitano a valle, fitte selve, ghiaioni, prati d'alta quota, è un continuo sbinocolare.
Dove il sentiero gira all'ombra bisogna prestar attenzione perché il terreno è gelato.
Siamo ora al cospetto delle verticali pareti del Castellaccio da dove si rimonta l'alta val della Formiga. Il sentiero è in piedi, ma l'ambiente è talmente stimolante che salgo di buona lena, più salgo e più mi sento bene, una piccola e esposta cengia sulla valle, qualche scatto fotografico ed eccolo là... il passo della Val Formiga (2072 m) .. e il Pian della Nana.
Un frullare d'ali .. s'alzano in volo due pernici.
Con Max c'incamminiamo su questo vasto altipiano e immaginiamo orsi scorazzare a destra e a manca; poco oltre decidiamo di risalire un promontorio per pranzare.
Il Peller, il Pellerot, il Palon, la cima Nana.. i versanti sud sono tinti di giallo e rosso, mentre quelli nord sono innevati.
Finito di pranzare, mentre Max pisola, mi metto a gironzolare per le doline del piano.. nel mio vagare arvicolesco riesco a stanare due pernici.. che siano quelle di prima? Chi lo sa!
Dopo una ventina di minuti ritorno da Max e siamo pronti per il rientro.
Ritorniamo al passo e scendiamo la val Formiga, che ora è totalmente in ombra.
Cominciamo la lunga traversata, ora in leggera, ma costante, salita. In uno dei numerosi canaloni Max avvista una "capriola", imbraccio il binocolo e noto anche un piccolo che bruca sotto un abete.
La leggera foschia presente la mattina se n'è andata, ora la vista spazia dallo Sciliar alla Vigolana.
In un meraviglioso silenzio s'odono solo i cinguettii di numerose di cinciallegre che volano di mugo in mugo.
Dopo aver evocato una certa persona ecco che succede l'immancabile inconveniente: a Max si rompe la stringa del binocolo! Incredibile e inquietante!
Proseguiamo imperterriti fino al punto panoramico, gli ultimi raggi di sole filtrano dal Brenta illuminando i larici poco sopra il lago di Tovel. Estasi.
Da qui velocemente scendiamo sulla strada forestale, si sta facendo sempre più scuro.
Tra una chiacchiera e l'altra scandagliamo il bosco, ad un certo punto noto un movimento veloce nel sottobosco “cos'è?”, binocolo “mmm.. mi pare un cedrone”, passo il binocolo a Max “un gallo cedrone!”, fantastico.. si muove un poco e poi vola via in un frullare intenso di ali! E subito dopo tre caprioli lo seguono spaventati. Emozionante davvero!

Eccoci all'auto! Giornata ricca d'emozioni e d'ignuzzaggini nella zona che più amo del Brenta.

Anche oggi abbiamo inseguito l'ombra dell'orso.
Ogni passo ci porta sempre più vicino a lui..e a noi stessi.




















mercoledì 20 agosto 2014

Amarcord. 18/08/2009 Sul tetto degli Appennini con gli amici de’ Roma: Gransasso inside

Visso. Ore 4.43.
Suona la sveglia. Apro gli occhi e un brivido d’emozione mi corre lungo la schiena, sognavo questa salita da tempo: per mesi con l’amico Fabry l’abbiamo pianificata e immaginata.
Una colazione veloce e poi pronti per il lungo viaggio verso l’Aquila.


Campo Imperatore. Ore 8.00
Da Assergi cominciamo a risalire verso Campo Imperatore. Per strada s’incontrano quasi esclusivamente mezzi della Protezione Civile, nell’aria si respira ancora il dolore e la paura di quella tremenda scossa di terremoto che ad aprile “causò” centinaia di morti.
Il cielo è terso. Superiamo Fonte Cerreto; attraversiamo dapprima boschi di cerri poi è la volta di aceri, carpini, faggi e infine ecco il lunare paesaggio di Campo Imperatore.
Siamo nel cosiddetto Piccolo Tibet, l’aspetto vasto e desolato di questo altopiano, ti stordisce: una vasta distesa di prati con dolci alture, depressioni e collinette, mandrie di vacche e cavalli.
Ignoriamo il bivio per Castel del Monte e svoltiamo puntando direttamente verso Lui, il Corno Grande, che ora appare in tutta la sua grandezza.
Ad un certo punto ci fermiamo a fare qualche foto ed ecco che Fabry, non accorgendosi di noi, ci sorpassa. Dopo un anno, la voglia di riabbracciarlo è grande quindi partiamo all’inseguimento.
Arriviamo al piazzale del Campo Imperatore (2120 m), parcheggiamo l’auto e proviamo a telefonare a Fabry, ma suona occupato così decidiamo di portarci avanti e indossare gli scarponi.
TACK.. mi rimangono le stringhe dello scarpone sinistro in mano… Porcaccia.. trattengo le mille imprecazioni che stanno salendo dal profondo, per fortuna ho con me un paio di lacci di scorta e grazie all’infinita pazienza di Claudio, i miei scarponi sono nuovamente operativi.
Finalmente anche Fabry si libera ed ecco scattare l’agognato ignuz abbraccio.
Due chiacchiere e poi andiamo a bere un caffettino al bar dove apprendiamo una bella notizia: più tardi ci raggiungerà anche Matteo.. AAAAAAAAA! :P
Zaini in spalla e raggiungiamo l’osservatorio dove prendiamo la mulattiera che risale il pendio erboso e pietroso che s’affaccia sul Campo Imperatore. La giornata si preannuncia stupenda anche dal punto di vista meteorologico. Ignoriamo il bivio che sale al rifugio Duca degli Abruzzi e proseguiamo sulla destra, verso la sella del Monte Aquila.
Il battuto sentiero taglia a mezza costa il pendio di un circo glaciale roccioso, più in basso, coperto dai detriti, sopravvive un piccolo nevaietto.
Camminiamo con calma, parlando, ci fermiamo ad osservare la flora, tra cui il famoso Astro’.. Alpino, imbraccio il binocolo e comincio a scandagliare il Monte Aquila dove – Fabry mi ha riferito – sono stati rilasciati camosci, ma l’ora e il versante non sono propizi per l’avvistamento.
Tra l’avifauna appennina particolare menzione la voglio dare al Cellularum DiMeum Ignuzotum, dal canto inconfondibile.
Arriviamo alla sella (2335 m), la vista è magnifica, l’ambiente è molto simile a quello dolomitico: in basso un’esteso pianoro inclinato, Campo Pericoli, pieno di doline, fessurazioni, inghiottitoi, massi sparsi, che denotano la natura carsica del terreno.. pianoro circondato da vette più o meno vicine.. il Monte Portella, il Monte Cefalone, il Monte Corvo, il Pizzo di Intermesoli e Lui, il Corno Grande, quello Piccolo e infine il Monte Aquila. Estati totale.
Sono ai piedi del Corno Grande.
Ci fermiamo un po’ ad aspettare il rosso-vestito Matteo ed a scattare, manco a dirlo, numerose foto; poi un impellente e inderogabile bisogno, mi – ci - spinge a spostarci un po’ avanti.
E così, in questo epico momento – ovvero mentre ritorno dal bagno – ha luogo il magico incontro con il pazzo Matteo.
Si scambiano due parole al volo e poi si riparte, dopo pochi passi ecco un nevaietto, scatta così la foto con la neve appenninica.
Ignoriamo sia il bivio per la direttissima Sud del Corno Grande, che quello per il rifugio Garibaldi, e proseguiamo su ripido ghiaione fino alla Sella del Brecciaio (2506 m) ai piedi della cresta Ovest del Corno Grande, dove facciamo un’altra pausa.
Eh sì, questa gita – visto che il tempo ce lo concede - ce la vogliamo godere con calma, non si può essere in questi luoghi e correre, vanno assaporati pietra per pietra, cima per cima, ogni singolo dettaglio dev’essere assorbito e immagazzinato nella mente, tant’è che ora.. mi sembra d’essere ancor là in mezzo a quelle pallide rocce con Claudio, Fabry e Matteo.
Proseguiamo su sentiero “normale” fino alla Conca degli Invalidi (2610 m) dove ci rinfreschiamo la testa con un po’ di neve e dove – aihmè :P – incontriamo un conoscente di Matteo che ci terrà compagnia e lezioni di vita durante tutta la gita.
Da questa conca si può ammirare in tutta la sua imponenza l’austero Corno Piccolo, qualche nube coreografica gioca con le sue guglie.
Poco sopra prendiamo la variante della Cresta Ovest. Il sentiero in breve ci porta a fil di cresta, lo si segue superando passaggi di 1° grado, in alcuni tratti – non molti – la progressione è agevolata da un cordino d’acciaio. Proseguo con cautela, in alcuni punti c’è parecchia esposizione, ma nonostante questo vado avanti convinta che niente e nessuno potrà fermarmi.
Ogni tanto giro lo sguardo e rimango estasiata alla vista della sinuosa linea di cresta che man mano lasciamo dietro di noi. Claudio chiude la “cordata”, poi ci siamo io e Fabry, e davanti Matteo che ogni tanto lancia incoraggiamenti.
La croce è sempre più vicina.. il mio cuore si riempie di gioia e commozione.. ancora un passo.. eccomi in vetta al Corno Grande (2913 m): il tetto degli Appennini!
L’emozione è fortissima. Sono contenta d’essere qui con Claudio, e lui sa il perché, con Fabry, una delle più belle amicizie che m’ha donato internet e Matteo che, anche se conosco da poco, mi ha già conquistato con la sua simpatia. Aaaaaaaaaa!
La visibilità è delle migliori, grande fortuna la nostra.. a 360° possiamo ammirare i Monti della Laga, i Sibillini, il mar Adriatico, la Maiella, i monti del parco d’Abruzzo-Molise-Lazio, il Terminillo, il lago di Campotosto.. l’Aquila.. un velo di tristezza mi vela il cuore.

Stiamo finendo di pranzare e d’indossare bandane quand’ecco un volto famigliare.. uhm.. ci si squadra n’attimo.. occhiali da sole possono confondere.. poi i dubbi svanisco “Ma te sei el Romano?” “Oscia sì”.. ahahah.. il mondo è davvero piccolo, ed ecco che due membri del direttivo SAT di Lavis s’incontrano per caso a 500 km da casa! Lavis uber alles!
Dopo aver firmato il libro di vetta e aver cazzeggiato un bel po’, è giunto il momento di ritornare a valle.
Sotto stormi di fringuelli alpini che volteggiano all’impazzata, scendiamo dalla via Normale. Dopo alcuni stretti tornanti possiamo ammirare da vicino il Ghiacciaio del Calderone, il ghiacciaio più meridionale d’Europa. Scendiamo con attenzione perché il sentiero è cosparso di ghiaino infame; rieccoci nella Conca degli Invalidi da dove ripercorriamo il sentiero dell’andata fino alla Sella del Monte Aquila.
Con Fabry si discute d’alta botanica: ma la campanula barbata, essendo qui meno pelosa di quella alpina, si chiamerà Campanula imberbe e sbarbata? :D mah.. discorsi di scienziati di prim’ordine.
Nel frattempo l’amico di Matteo sta attirando su di noi stormi di gracchi: uhm!
Alla sella, con Claudio, Fabry e Matteo si decide di proseguire verso il rifugio Duca degli Abruzzi, salutiamo il tuttologo e risaliamo per un centinaio di metri la dorsale, in breve eccoci al rifugio (2388 m).
La vista su Campo Imperatore è da lacrima, la luce del tardo pomeriggio ammorbidisce i contrasti tra la terra e il cielo, il sole sta volgendo pian piano a ovest ed ecco che arriva la solita malinconia che spesso mi prende quando una gita particolarmente vissuta finisce, quella sensazione di vuoto momentaneo che segue la conquista di un obiettivo, quella sensazione leopardiana da “Sabato del villaggio”, ma in fondo anche se dolceamara è una bella sensazione, è una malinconia costruttiva che ti fa già pensare a quali altre mete ambire e quando sarà il prossimo incontro con questi amici così lontani ma al contempo così vicini. Ancora una volta la passione per la montagna è riuscita a far incrociare destini e strade diverse.
Una folata di vento investe le bandiere del rifugio facendole schioccare nell’aria.. è arrivato il momento di andarsene.
Prendiamo il sentiero che scende ripidamente al parcheggio, ci si cambia e si scende a Fonte Cerreto per bere qualcosa di fresco in compagnia.
E’ arrivato il triste momento dei saluti.. al prossimo incontro amici romani…aaaaaaaaaa!