Dopo una sconnessa salita arriviamo in questo vasto e verde alpeggio.
Sono già stata qui, anni fa, ma non ricordavo la magia di questo luogo.
Forse è perché i luoghi rimangono gli stessi, siamo noi che cambiamo.
Ammiro estasiata i grandi e vetusti faggi che mi stanno dinnanzi, sono stregata, sullo sfondo le nubi giocano con le guglie del Brenta.
Comincia a cadere qualche goccia di pioggia.
Ci incamminiamo. Osservo col binocolo dei ghiaioni poco sopra: un piccolo branco di camosci bruca indisturbato.
Siamo solo noi e le selve.
Il sentiero si inoltra nel bosco, ci accompagna il suono della pioggia che tambureggia sulle foglie dei faggi.
Arriviamo in una piccola radura che permette la visuale sull'altro lato della valle.
Ci sediamo e installiamo i lunghi.
Tutto intorno a noi canta: dalla valle risale l'eco dei rivi, folate di vento fanno cantare gli alberi e migliaia di cinguettii fanno da colonna sonora al nostro attendere.
Cucù cucù il canto del cuculo ci circonda, prima è sotto di noi, poi a destra, poi sopra.
Sembra prendersi gioco di noi.
Con il lungo scandagliamo posti irti e inospitali.. o che paiono tali.
Nulla ancora si muove.
Troviamo il nido dell'aquila e un pullo di tanto in tanto si rigira tra i rami secchi.
Sui ghiaioni alle nostre spalle i camosci continuano a brucare l'erba.
Eccolo. Esclama Max. Sono le 18:00.
Tempo di regolare il lungo e bingo!
Sono due. Sdraiati nei pressi di una fascia di mughi a strapiombo sulla valle.
Uno ha la faccia color crema, l'altro è più scuro. Dormono.
Qualche piccolo movimento, poi ritornano fermi. Immobili.
Dopo un po', mentre quello color crema dorme, lo scuro si siede e annusa l'aria.
Poi tutto tace.
Passano le ore quando "ecco il terzo" esclamo, dai mughi sopra i due vedo sbucare un'altra testona.
Poi sparisce. Tutto tace ancora.
Mi alzo per sgranchirmi le gambe e sento un rumore nel bosco.
Vedo una sagoma: é un capriolo.
Calpestio concitato. Eccone un altro.
Sono due maschi che si rincorrono, passano sopra la nostra postazione per poi sparire come sono apparsi.
Il cuore fa incetta di emozioni, di natura, di wilderness così vicina a casa.
Guardo le vette del Brenta e penso che quando Gaia sarà più grande, se vorrà, la porterò quassù a respirare la Terra, l'anima della Terra di cui porta il nome.
I tre cominciano ad agitarsi.
Sono le 19:40. Lo scuro fa precipitare a valle un grosso masso. L'eco della caduta riecheggia fino a noi.
Quello color crema comincia a inerpicarsi su mughi e pareti verticali, lo scuro lo segue e anche il terzo si unisce.
Si cercano, si evitano.
Poi due si nascondono dietro un albero e cominciano a copulare, il terzo si messe a ridosso della roccia e guarda.
Aspetta il suo turno.
Sono un maschio e due femmine.
Forse è il maschio dell'infanticidio.
Forse una femmina è quella che ha perso i suoi cuccioli a causa sua.
La Natura è tanto spietata quanto bella.
Alle 20:30 cominciamo a metter via l'attrezzatura.
Il crepuscolo è imminente.
Ci carichiamo i pesanti zaini sulle spalle e ripercorriamo il sentiero dell'andata.
Sbuchiamo sugli alpeggi.
Il cielo è di quel colore che precede l'oscurità totale.
Una pace surreale ci avvolge.
Il Brenta ci saluta, lontano e vicino, la sua voce si fa sentire.
La sua anima pulsa nei cuori.. nei nostri e in quelli di fratello orso.
E poi fu notte.