martedì 27 marzo 2018

13/05/2017 Tripudio faunistico in Brenta

Dopo una sconnessa salita arriviamo in questo vasto e verde alpeggio.
Sono già stata qui, anni fa, ma non ricordavo la magia di questo luogo. 
Forse è perché i luoghi rimangono gli stessi, siamo noi che cambiamo. 
Ammiro estasiata i grandi e vetusti faggi che mi stanno dinnanzi, sono stregata, sullo sfondo le nubi giocano con le guglie del Brenta. 
Comincia a cadere qualche goccia di pioggia. 
Ci incamminiamo. Osservo col binocolo dei ghiaioni poco sopra: un piccolo branco di camosci bruca indisturbato.
Siamo solo noi e le selve.
Il sentiero si inoltra nel bosco, ci accompagna il suono della pioggia che tambureggia sulle foglie dei faggi. 
Arriviamo in una piccola radura che permette la visuale sull'altro lato della valle.
Ci sediamo e installiamo i lunghi. 
Tutto intorno a noi canta: dalla valle risale l'eco dei rivi, folate di vento fanno cantare gli alberi e migliaia di cinguettii fanno da colonna sonora al nostro attendere.
Cucù cucù il canto del cuculo ci circonda, prima è sotto di noi, poi a destra, poi sopra. 
Sembra prendersi gioco di noi. 
Con il lungo scandagliamo posti irti e inospitali..  o che paiono tali. 
Nulla ancora si muove.
Troviamo il nido dell'aquila e un pullo di tanto in tanto si rigira tra i rami secchi. 
Sui ghiaioni alle nostre spalle i camosci continuano a brucare l'erba.
Eccolo. Esclama Max. Sono le 18:00.
Tempo di regolare il lungo e bingo!
Sono due. Sdraiati nei pressi di una fascia di mughi a strapiombo sulla valle. 
Uno ha la faccia color crema, l'altro è più scuro. Dormono.
Qualche piccolo movimento, poi ritornano fermi. Immobili. 
Dopo un po', mentre quello color crema dorme, lo scuro si siede e annusa l'aria.
Poi tutto tace. 
Passano le ore quando "ecco il terzo" esclamo, dai mughi sopra i due vedo sbucare un'altra testona.
Poi sparisce. Tutto tace ancora. 
Mi alzo per sgranchirmi le gambe e sento un rumore nel bosco. 
Vedo una sagoma: é un capriolo.
Calpestio concitato. Eccone un altro.
Sono due maschi che si rincorrono, passano sopra la nostra postazione per poi sparire come sono apparsi. 
Il cuore fa incetta di emozioni, di natura, di wilderness  così vicina a casa.
Guardo le vette del Brenta e penso che quando Gaia sarà più grande, se vorrà, la porterò quassù a respirare la Terra, l'anima della Terra di cui porta il nome. 
I tre cominciano ad agitarsi. 
Sono le 19:40. Lo scuro fa precipitare a valle un grosso masso. L'eco della caduta riecheggia fino a noi. 
Quello color crema comincia a inerpicarsi su mughi e pareti verticali, lo scuro lo segue e anche il terzo si unisce.
Si cercano, si evitano.
Poi due si nascondono dietro un albero e cominciano a copulare, il terzo si messe a ridosso della roccia e guarda. 
Aspetta il suo turno. 
Sono un maschio e due femmine. 
Forse è il maschio dell'infanticidio.
Forse una femmina è quella che ha perso i suoi cuccioli a causa sua. 
La Natura è tanto spietata  quanto bella.
Alle 20:30 cominciamo a metter via l'attrezzatura.
Il crepuscolo è imminente. 
Ci carichiamo i pesanti zaini sulle spalle e ripercorriamo il sentiero dell'andata.
Sbuchiamo sugli alpeggi. 
Il cielo è di quel colore che precede l'oscurità totale.
Una pace surreale ci avvolge. 
Il Brenta ci saluta, lontano e vicino, la sua voce si fa sentire. 
La sua anima pulsa nei cuori.. nei nostri e in quelli di fratello orso. 
E poi fu notte. 

venerdì 8 maggio 2015

02/05/2015 OSSERVANDO GLI ORSI CON LA FAMILY



Ciao e benritrovati a tutti.. la prole esige tempo.. tanto.. sono cambiati ritmi e abitudini.. ma certe cose non cambiano mai.. e così.. eccomi ritornata con il botto!!!!

A presto!
Un abbraccio ai quattro gatti che (forse) ancora mi seguono eheheh
Rita

***

Oggi volevamo andare a fare un giretto all'area faunistica di Spormaggiore, quando ecco giungere un messaggio da un amico orsofilo: "In Brenta orientale stanno osservando mamma orsa e cucciolo con lungo".
Con Claudio ci si guarda e si decide di tentare il tutto per tutto.
Gaia si addormenta lungo la strada, così, giunti in loco, mentre Claudio veglia la piccola, io mi carico di binocoli, pile, biberon e varie e mi incammino affaccendata verso la postazione.
La strada non è molta, ma giungo trafelata dall'agitazione, mollo tutto in terra, mi siedo sulla panca e inizio a sbinocolare. Sento al telefono Max, il quale mi riferisce che l'orsa è in alto, non lontana dalla cima, avvisto camosci e cervi, ma questi sono più in basso, per mettere a fuoco oltre mi serve il lungo.
Nel frattempo mi raggiunge Max e via di lungo.
La cima. Le creste. Un canale. Un nevaio. Un prato. Eccola là.
Una massa marrone immobile. E' adagiata su una cengia sospesa sulla valle, perché c'è chi l'ha vista muoversi che c'è la certezza si tratti di un orso, altrimenti sembrerebbe l'ennesima zolla di terra.
Non ci resta che aspettare pazientemente che l'orsa si svegli. Nel frattempo arrivano Claudio e la mia cucciola, gioco un po' con lei: è bravissima si mette lì buona a giocare con pigne, rametti e sassi.
Ci si alterna al lungo.. ok.. forse lo monopolizzo un poco.. ma il desiderio di vederla muoversi è incontenibile.
Poco prima delle 17 muove un po' il corpo. Poi giace nuovamente immobile.
Alle 17.10 l'orsa si stiracchia e si alza. Maestosa e regale annusa la valle, osserva attentamente in alto, a destra, a sinistra, in basso. Vigila affinché non ci siano pericoli.
Poi si sposta di lato e da dietro fa capolino il cucciolo, è un cucciolo dell'anno, piccolo e nero.
Cuore a mille. Guardo Gaia e mi si stringe il cuore.
La coppia si sposta a destra, prima la madre, poi la segue il cucciolo che, curioso com'è, si ferma ogni tre per due, ma lei è lì, sempre vigile, sempre attenta.
Ad un certo punto cominciano a calarsi lungo un tratto roccioso - stiamo parlando di veri e propri versanti scoscesi - il piccolo si muove come un esperto arrampicatore saggiando il terreno con le quattro zampe.
Ora brucano erba su un terrazzo erboso.
Arrivano  i primi refoli di vento, la postazione è "famosa" per questo, è giunta l'ora di scendere a valle: la cucciola, la MIA, viene prima di tutto. Sempre.
Claudio e Gaia si incamminano, io cerco di rubare altri preziosi 5 minuti al paziente Max, un ultimo sguardo, un ultimo tuffo al cuore nel vedere quest'altra coppia di madre e figlia,  cambia la specie ma l'accudimento, l'attenzione e sì, chiamiamolo amore ( umanizziamola pura sta orsa!), è lo stesso.
Smontiamo baracca, Max mi accompagna al parcheggio, poi si trasferirà più in alto a fare qualche filmato.
Ed eccoli là lungo la forestale: Gaia sta giocando vicino a una pozza d'acqua col papà.
E il cuore mi si riempe ancora di uno sconfinato e unico amore.



 Eccovi uno scatto fatto in digiscoping dal Max, Il Paziente!


sabato 25 ottobre 2014

Amarcord. 07/11/2009 Inseguendo l'orso sopra un mare di nubi: malga Platz (Brenta meridionale)

Forse questo è il giorno buono.. lo sento nell'aria, lo sento nella terra (per dirla alla Galadriel).. con Max si è deciso di andare a far un giro mattiniero a cercare piste d'orso nella neve.
All'ultimo, con clausola di “silenzio e puntualità” e con funzione di “segretaria” (stra-LOL!), s'unisce a noi anche Linda, che in principio doveva andare a fare una ciaspolata con Flavio, saltata perchè purtroppo è stato poco bene.
Partiamo dallo Zuffo, percorriamo la val dei Laghi e risaliamo verso Stenico sotto un cielo plumbeo e nuvole basse. Parcheggiamo l'auto in località La Cros (737 m). L'umidità è altissima e ti entra nei vestiti, ci vestiamo velocemente e c'incamminiamo lungo la mulattiera, sentiero 346.
Le nebbie s'avvolgono sui faggi, ma c'è qualcosa di diverso, in alto vediamo il sereno, pochi passi ed eccoci sopra un mare di nubi.. spettacolare!!!!
La piana di Fiavè è sotto un soffice tappeto bianco, oltre sbucano le cime del Casale, del Brento e delle alpi di Ledro. Siamo senza parole.. e per noi tre è una cosa inconsueta.
Altri 4 escursionisti ci seguono a distanza.
Scattiamo molte foto estasiati da tale magnificenza poi proseguiamo in alto. Scivolando non poco sul fondo reso viscido delle foglie, ora giriamo verso la val d'Algone, il mare di nubi si estende fino a Tione e l'abitato d'Iron emerge dalle nubi come un'isola.
Nell'aria c'è qualcosa d'elettrizzante.
Superiamo il Baito dei Cacciatori (1371 m) e c'incamminiamo verso malga Platz (1395 m)... ed eccola.. perpendicolare al sentiero... una pista d'orso!!!!
Scatta il delirio: è stupenda!!!! definitissima!!! Linda, povera lei, è travolta da un tornado di esaltazione ritesca e maxesca.. tiriamo fuori il metro e cominciamo a misurare l'impronta anteriore, posteriore, il passo.. seguiamo la traccia.. ecco qui l'orso è incerto, qui si è girato e qui? Ahaha è scivolato o si è lasciato scivolare sulla neve per fermarsi poco sotto.
Seguiamo la pista fino a un gruppo di faggi, poi, consci del fatto che le piste bisogna seguirle a ritroso per non disturbare l'orso, ritorniamo alla malga dove mangiamo qualcosa.
Un aquila vola sopra di noi. Non capisco più nulla.
Cominciamo a seguire a ritroso le impronte, mado' come sono ben definite, stiamo camminando accanto alla pista, la seguiamo in cerca di peli o fatte, proviene da un sentiero che s'insinua nella val d'Algone.. le seguiamo ancora per un poco.. poi le ripercorriamo in senso di marcia.. ritorniamo alla malga e alla faggetta ed eccola la fatta! Max, con i “ferri del mestiere”, la raccoglie.
Seguiamo la pista, zig e zag nella neve, scivolamenti, ora si perde in un fitto bosco, seguiamo i passi dell'orso strisciando sotto arbusti e intricati cespugli, cerchiamo invano peli, Max prosegue un po' oltre, gli pare di sentire rumore di pietre.
La scelta giusta ora è solo una: quella di proseguire per la nostra strada e lasciare che l'orso prosegua per la sua.

Tagliamo per il bosco e ci immettiamo nel sentiero 347 che porta in val Laione. La selva è un pullular di rumori, la neve e le foglie cadono dagli alberi, in suono continuo.
Percorriamo l'esile sentiero prestando molta attenzione, si scivola e la neve non aiuta, giungiamo infine al Capitel della Spina (1386 m), dove quest'estate, al ritorno dal Brugnol, abbiamo trovato altri segni di presenza ursina.
Mentre Linda sommerge Max di parole, io sbinocolo – senza lungo :P - a destra e manca, nella speranza di vedere sbucare un testone tra gli alberi.
Pranziamo velocemente, l'umidità non perdona, e scendiamo dalla ripida mulattiera. Vicino all'auto troviamo un'altra fatta, prontamente raccolta da Max.

Arriviamo all'auto stra-esaltati e stra-soddisfatti per una gita che doveva esser per lo più un corto giro di perlustrazione e che si è rivelata invece un autentico viaggio di scoperta.

Riprendo la frase conclusiva di un report di una recente gita in Brenta:
“Anche oggi abbiamo inseguito l'ombra dell'orso.
Ogni passo ci porta sempre più vicino a lui..e a noi stessi.”

Oggi l'orso ci ha permesso, non solo d'inseguire la sua ombra, ma di starci dentro e di essere, per brevi momenti, come lui. Grazie!


























Amarcord. 27/09/2009 Per aree e panoramiche creste: sentiero attrezzato “Bepi zac” (Costabella-Cima Uomo)


Finalmente, dopo defezioni meteo e rogne varie, ecco che si riesce a organizzare una ferrata.

Dopo un sabato dedicato allo studio, con Claudio e Flavio partiamo alla volta del San Pellegrino. Quando arriviamo al passo (1919 m) un velo di nubi copre la cresta Costabella – Cima Uomo: dove corre la nostra ferrata, o meglio, sentiero attrezzato “Bepi Zac”.
Risaliamo lungo il sentiero 604 sfiorando il rifugio Paradisi (2130 m). Le marmotte, messe in allarme dai segugi dei cacciatori, fischiano in continuazione. Le praterie stanno assumendo i toni giallo-arancio tipici dell’autunno, refoli d’aria fresca muovono l’erba e ci fanno chiudere le zip dei pile. L’estate se ne sta andando.
Arriviamo al passo Le Selle (2528 m) dove siamo investiti da forti raffiche di vento che risalgono la val Monzoni; mentre alle nostre spalle le Pale sono avvolte dalle nubi, a nord la visibilità è ottimae la bianca dolomia risalta su un cielo azzurro come non mai.
Nel bivacco poco sotto il passo, al riparo dal vento, indossiamo la ferraglia del mestiere e ci prepariamo all’impresa.
Ritornati al passo imbocchiamo il sentiero 637 che sale ripidamente verso la Cima Lastel Picol. Dopo pochi passi già troviamo le prime attrezzature: un cavo metallico da usare come corrimano.
Tutta questa catena montuosa fu teatro di duri scontri durante la Grande Guerra: baraccamenti, trincee, vecchie scale, scatolame arrugginito sono la testimonianza della sofferenza che vissero quassù quei poveri soldati.
Camminiamo lungo l’aereo sentiero in un crescendo d’emozioni frutto di un mix d’esaltazione per la superba bellezza dei luoghi e la consapevolezza di percorrere luoghi che sono stati teatro di dolore e morte.
Entrando in gallerie di guerra e superando un ponticello di legno, giungiamo sulla cima Lastel Piciol (2697 m) con vista a 360°.
Resti di filo spinato e di scatolame. Silenzio.

Proseguiamo, seguendo la linea del fronte, in direzione del Lastel Grande (2793) e cima Campagnaccia (2737).
Superiamo una piccola paretina verticale grazie all’aiuto di due pioli e a delle funi, giriamo l’angolo ed ecco la “famigerata” crestina: sarà lunga una 15ina di metri, molto esposta, ma ottimamente attrezzata; ostrego un pò, ma prova passata.
Ci fermiamo a mangiare qualcosina al volo e incontriamo le prime persone della giornata: una famigliola padre madre e figliolo e una coppia di mezza età.
Consiglio a tutti di fare questo sentiero fuori stagione, per godere dei silenzi che rendono ancor più austeri e affascinanti questi luoghi.
Risaliamo per larga dorsale a cima Costabella (2759 m) dove c’è una mitragliera austriaca. Su questa cima è ben visibile il contrasto tra la bianca roccia dolomitica e la scura roccia porfirica.
Perdiamo un poco quota, poi risaliamo una paretina di 5 metri con l’aiuto di una scala di legno. Il sentiero trincea è scolpito nella roccia; entriamo nell’ennesima galleria dalla quale dobbiamo uscire gattonando e sbattendo la testa più volte: ma abbiamo caschetto e problemi no ghe n’è!
Ora ci attende una placca esposta che taglia in diagonale e in discesa al roccia, titubo un po’, ma il cavo è ben teso e gli appoggi per i piedi numerosi.
Finito questo tratto ci ritroviamo su un mini altopiano dove, una targa ci spiega, molti soldati tedeschi furono fatti prigionieri dagli italiani. Sullo sfondo del pianoro appaiono nitide il Gran Vernel, la sud della Marmolada e Cima Uomo.
Mi attardo un po’, estasiata da questa meravigliosa visione e mi chiedo, se anche i soldati che qui persero la vita, almeno per qualche secondo riuscirono ad apprezzare ciò che li circondava.. ma penso di no.
Arriviamo ai piedi del Sas di Costabella e, mentre Flavio e Claudio risalgono il canalone attrezzato per visitare l’osservatorio italiano, io contemplo la val San Nicolò e il Sassolungo.
Poco dopo ritornano da me e scendiamo tutti assieme, per sentiero un po’ esposto, alla forcella Ciadin (2664 m). Da questa caliamo verso il basso lungo un ripido e infido ghiaione.
Flavio preso da miraggi (probabilmente causati dal caschetto troppo stretto) parte di corsa verso quello che, per un gioco di luci, sembra un piccolo nevaio, ma in realtà trattasi di roccia ultra “slavarida”.
Lo raggiungiamo e “insultiamo”, poi proseguiamo ancora una volta tutti assieme.
Mi volto spesso. I contrasti sono commoventi. Giallo, bianco e blu.
Flavio trotterella dietro di me e un velo di nostalgia m’attanaglia lo stomaco.. EX colleghiny.
Tra i massi e qualche mini larice solitario giungiamo infine all’auto.. ci cambiamo celermente e poi a Moena ci troviamo con il mitico nonno Giorgio per un caffè in compagnia: ottima conclusione di una memorabile giornata “ con le corde” fra le crode!