Ognuno di noi,
in scala più o meno grande
contribuisce allo sfruttamento e alla distruzione della terra,
allo spreco e all'inquinamento.
Abbiamo semplicemente la possibilità
di camminare più vicino alla Buona Strada.
Non di colpo, ma tappa per tappa in questa direzione,
finché non riusciamo a tornare su questo sentiero.
Per coloro che sanno ascoltare,
le voci parlano ancora.
Saupaquant, Wampanoag”
Eh già, quanta verità in queste sagge parole, si può essere virtuosi finché si vuole, ma comunque si sgarra, ma questo non significa che bisogna arrendersi; per me, cercare di camminare più vicino alla Buona Strada, significa avvicinarsi sempre più al mondo naturale, osservarlo e amarlo soprattutto nei piccoli dettagli e ha ragione questo saggio capo indiano “per coloro che sanno ascoltare le voci parlano ancora”, queste voci le ho sentite spesso in montagna, ma in particolar modo le ho sentite più forti sabato, mentre ero con Claudio, Flavio e Max in luoghi reconditi e selvaggi del Brenta. Per 10 ore solo noi, i camosci, la voce del vento, dei prati, dei fiori e delle rocce, solo una voce mancava all’appello, quella di mio fratello orso che dimora in quei luoghi, ma anche se non la si sentiva, la si percepiva.
Fatta questa doverosa premessa veniamo alla gita di sabato.
Dopo aver vagliato varie possibilità, con Max – il capogita :P – si decide di fare un lungo giro in Brenta meridionale; la scelta cade sul giro ad anello Val Ambiez e Val Jon, luoghi dimenticati dagli escursionisti. Le premesse sono ottime: lungo sviluppo chilometrico, 8-9 ore di pura camminata e oltre 1500 metri di dislivello, i “massacri” che adoro!
Così ci troviamo alle 7 lungo l’Adige; il nostro parcheggio di fiducia, lo Zuffo, è chiuso perché nel week-end si svolgerà la gara schifautomobilistica Trento-Bondone, con tutto ciò che segue e ne consegue ovvero gente ubriaca che corre lungo la strada, rifiuti nei prati e sugli alberi e rave-party. BAH!
Dopo aver parcheggiato saliamo tutti in auto di Claudio e imbocchiamo la Val dei Laghi.
Una volta giunti a San Lorenzo in Banale, prendiamo la strada che risale la Val d’Ambiez e parcheggiamo l’auto nei pressi dell’Albergo Dolomiti (850 m circa). Siamo nel parco naturale Adamello-Brenta.
Alle 8 e 10 circa inizia la nostra avventura. Attraversiamo un ponticello e ci troviamo davanti una specie di casa dell’acquedotto, più o meno recintata, non vedo tracce di sentieri, chiedo a Max “n’delo el senter?” e lui “lì!” indicando un accumulo di ghiaia “uhm..sarà”.
Risaliamo la ghiaia e troviamo il sentiero, il tipico sentiero da “cazadori”, dopo qualche minuto c’imbattiamo in una scaletta d’acciaio che ci permette di superare uno sbalzo roccioso. Il sentiero sale ripidissimo per un bosco di faggi, il caldo è soffocante, sembra di essere nella giungla: caldazza immonda!
Finalmente siamo ai masi Dengolo (1271 m), imbocchiamo il sentiero 342 e usciamo dalla sauna, beviamo un po’ d’acqua calda :P e proseguiamo in leggera salita. Questo tratto di sentiero attraversa dapprima prati costellati da gigli rossi (Lilium bulbiferum), poi mughete e ghiaioni detritici. Lungo la strada m’imbatto anche in uno stupendo esemplare di Scarpetta di Venere (Cypripedium calceolus), tipico dei terreni calcarei, che mai prima mi era capitato di vedere.
Ammirando le cime della testata della valle – Cima Ceda, Tosa, d’Agola, d’Ambiez ecc.. – e i verdi pascoli di Malga Ben giungiamo a Malga Senaso di Sotto (1578 m).
Dopo una breve pausa abbandoniamo il sentiero principale che conduce al rifugio Cacciatore e cominciamo a tagliare verso sinistra percorrendo la vecchia traccia di un sentiero in disuso. Dopo una bella rampetta giungiamo ai ruderi di Malga Senaso di Sopra (1847 m). Il sentiero che arriva dal Cacciatore, il 348 - itinerario Garda-Brenta - che dobbiamo prendere, corre più in alto, ci attende quindi ancora un bello strappetto. Io e Claudio andiamo avanti, risaliamo il costone un po’ a casaccio, facendo slalom fra le ortiche – basta trattenere il respiro :P - e i sassi di un ghiaione, infine eccoci giungere sul sentiero.
Mi giro un attimo e vedo un stupendo esemplare di camoscio correre tra le rocce, chiamo Flavio e Max che alzano lo sguardo giusto in tempo per vedere questo regale animale risalire una parete quasi verticale, fermarsi su una cengia, fischiarci addosso– fiuuuu fiuuuu fiuuuu - e poi, dopo essersi fermato qualche secondo su uno sperone di roccia, scomparirvi dietro. Sarà il primo di una lunga e fortunata serie d’incontri.
Stiamo per entrare nella Busa di Senaso, dinnanzi a noi vi è la parete nord dei Maruggini. C’è un piccolo nevaietto che fa la gioia di Flavio, in altro sui ghiaioni altri camosci. Ci si ferma e si scatta qualche foto.
Nel frattempo il cielo s’è coperto, le nubi coprono le cime e la nebbia comincia a entrare silenziosa dalle forcelle e a strisciare tra i massi donando fascino a questo ambiente lunare.
Il sentiero ora risale un dosso coperto da mughi e rododendri in fiore, alla nostra destra su un nevaio un camoscio – che a me sembrava morto vista la strana posizione - cerca refrigerio, disturbato se ne va via.
Proseguiamo per il sentiero che ora taglia un ghiaione, compiamo un traverso delicato su di un nevaio, mentre i soliti camosci ci stanno a guardare dal basso, e infine eccoci giungere alla Selletta della Colmalta (2276 m).
E qui un nuovo mondo mozzafiato ci si presenta dinnanzi: se dall’altra la ghiaia e le rocce la facevano da padrone, da questo lato sono i prati a dominare. Questo versante delle Maruggini sono un ripido, ripidissimo, tappeto verde!!!
Ci fermiamo un po’ vicino a questa selletta e l’ennesima scena commuovente ci si para dinnanzi: sotto di noi, su di un dirupato costone erboso, giovanissimi camosci si rincorrono su e giù, giocano, ruzzolano, sembra che anche la nebbia giochi con loro, si buttano in picchiata giù da questi dirupi per poi sbucare fuori dall’altro lato “ma come diavolo faranno?” penso. E’ uno spettacolo meraviglioso che ti lascia a bocca aperta.
Dopo una piccola pausa e un obiettivo salvato dal dirupo :P ci ricarichiamo gli zaini in spalla; mi cade l’occhio sul prato di fronte a noi e la vedo, una piccola striminzita e secca Edelweiss, la stella alpina. Piccole, ma grandi gioie.
Il sentierino ora si fa abbastanza delicato, traversa quasi orizzontalmente il prato-dirupo, caldamente sconsigliato in caso di pioggia; a metà sentiero mi fermo e guardo verso il basso, Max mi consiglia di muovermi, ma io voglio stare là qualche secondo, appositamente per abituarmi. Guardo in basso, percorro con lo sguardo i fili d’erba che si perdono rapidamente nel Vuoto, ma stavolta non mi frega, gambe e mente sono salde, alzo lo sguardo faccio spallucce e proseguo.
Stiamo percorrendo l’alta valle di Jon, di fronte a noi avvolto dalle nubi il Castello dei Camosci e il “glorioso” Monte Pizzo (vero Cla?), sotto di noi i soliti camosci che giocano su dei nevai. Lacrimuccia.
Superato il pezzo più delicato, alle 14 passate decidiamo di fare pausa pranzo, incredibile come regga il mio fisico in montagna, lassù mangio poco, ma quel poco che mangio, principalmente cioccolata e frutta secca, è molto sostanzioso.. andrei avanti ore e ore a camminare solo con poche noci e qualche scacco di cioccolata.
Sostiamo un poco e, come sempre, quando gli uomini dormono :P, io vado in esplorazione. Magnifici esemplari d’orchidea costellano il prato, mi sposto fin sopra il lago d’Asbelz, e continuo a guardarmi attorno, osservo tutto attentamente nella vana speranza di vedere Lui, ma niente da fare, così dopo un po’ ritorno dagli altri e si ritorna in marcia.
Scendiamo così per ripido prato fino al mitico (!!!) lago d’Asbelz (2016 m), foto di rito con Claudio e poi giù verso la malga Asbelz (1956 m) seguendo il sentiero 349. Ci aspettano ancora due orette di cammino.
La discesa ora segue una specie di mulattiera, che percorre una larga cengia; parecchi metri sotto di noi, il fondovalle della val di Jon, verdi pascoli e ancora camosci.
Il sentiero ora taglia l’erta fiancata delle Pezze e dopo poco ci ritroviamo immersi in un fantastico enorme prato in fiore. Magnifico. Con Claudio fantastichiamo ursinamente.
Oltrepassato l’ameno prato, entriamo in uno scosceso bosco di faggi e raggiungiamo velocemente i masi di Jon.
Sta per arrivare il colpo di grazia, è da oltre 9 ore che camminiamo, e cosa ci aspetta? Una odiosissima mulattiera sassosa che precipita a valle con pendenze agghiaccianti! Ad ogni curva c’è una Madonna.. e si capisce anche il perché…
Ma stringendo i denti, passo dopo passo, arriviamo al Pont de Baèsa (796 m). L’auto però è parcheggiata a quasi un chilometro di strada, ovviamente in su, così, visto che io e Claudio, stanchezza a parte, stiamo bene, mentre i poveri Flavio e Max hanno le ginocchia in fiamme, decidiamo di andare, in solitaria, a recuperarla.
Recuperata l’auto e con l’inno d’Italia a manetta raggiungiamo i nostri, a seguire si svolgerà il rito di consegna diploma da “trecimoto” a Max! mah!
Questa è la montagna che amo.
E come degna conclusione lascio una frase che capiranno solo i presenti alla gita:
“Sé na istoria fantastic.. peca che l’è totalmont fals.. mmmh mmmh mmmh.. la grugnì e la tuil.."
Ebbrava Rita, tornano i Misty's reports!! :)
RispondiEliminaDi quella gita ricordo la caldazza tropicale in salita e le giunture urlanti in discesa (mai provato un simile dolore alle ginocchia, nè prima nè per fortuna poi), ma probabilmente era il prezzo da pagare per il paradiso che c'era poco più in alto! Escursione e posti davvero magnifici!!
:ciao: