Approfittando delle ferie natalizie mi accordo con Max per una gita sulla neve, dopo aver vagliato alcune possibilità optiamo per una meta classica: lo Stivo. Ci farà compagnia anche la cagnolona di suo fratello, Shira.
All'alba - poco prima della partenza - squilla il telefono. E' Linda: le è saltata una gita e si unirebbe volentieri a noi. Ottimo. Ci accordiamo per trovarci al passo di Santa Barbara.
Giunti a Bolognano di Arco ad un bivio notiamo un cartello che parla della chiusura della strada per il Monte Velo - uhm - ma poi non troviamo più nulla quindi diamo per scontato che non ci siano problemi e cominciamo a salire lungo una stretta e tortuosa strada.
Driiiin. Squilla il telefono, è Linda da Santa Barbara che ci avvisa che la strada che scende ad Arco - la nostra - è chiusa. Bene. Proseguiamo comunque e quando mancano due chilometri alla meta troviamo il fatidico "ALT! Strada chiusa", decidiamo quindi di coprire questa distanza a piedi.
La strada è una lastra di ghiaccio, quindi calzo già da subito i ramponcini.
Risaliamo fino al passo di Santa Barbara (1175 m) dove, illuminata dal sole, fa la sua apparizione Linda. Quattro chiacchiere e poi via, risaliamo lungo la strada fino al pianoro di S.Antonio (1220 m) dove imbocchiamo il sentiero 608 bis che coincide con una mulattiera. Anche Linda decide saggiamente di calzare i ramponi.
Ci alziamo sempre più e il panorama si apre, il Garda si dispiega con mille riflessi e scintillii verso la pianura. Ma ecco che arrivano i primi refoli di vento, aiha.
Giungiamo nell'ampia conca di Malga Stivo (1748 m) e il vento è insopportabile; al riparo di una fatiscente costruzione ci fermiamo a bere del the caldo, mentre il nostro amico quadrupede, per la gioia del badante, si pappa un bel topo.
Ora dobbiamo affrontare il ripido strappo finale, saliamo indomiti con il vento che ci spara in faccia raffiche di gelidi cristalli, giungiamo così in cresta dove affrontiamo l'ultimo delicato traverso ed infine giungiamo all'Ultima Casa Accogliente ovvero il Rifugio Marchetti sul Monte Stivo (2009 m).
Un orzetto e una polenta calda non ce li leva nessuno.
Soddisfatti e rimpinzati ci prepariamo per il rientro, sono indecisa se mettermi i ramponcini o no, alla fine li metto ed è peggio, ogni due metri devo fermarmi per togliere il maledetto zoccolo che si forma tra le punte..beata la Linda e i suoi ramponi "seri".
Rieccoci a malga Stivo dove facciamo un'ultima pausa the, mentre Shira fa merenda con un bel panin.......
Il crepuscolo si fa strada, con Linda sosteniamo Max nei punti critici ovvero dove la strada è interamente coperta dal ghiaccio, giungiamo così a Santa Barbara dove salutiamo la nostra amica mordace.
Ci aspettano ancora due chilometri di asfalto e ghiaccio, e con un tramonto che infuoca la Rocchetta giungiamo infine all'auto e alla fine di un altro appagante anno escursionistico.
Per quelli che non possono fare a meno della montagna... per quelli che aspettano la neve... per quelli che seguono l'ombra dell'orso...
venerdì 28 dicembre 2012
giovedì 27 dicembre 2012
01/12/2012 Per l'ennesima volta alla Croce di Fai (Fausior)
E' arrivato l'inverno e anche un po' di neve.
Il cielo è cupo e cade qualche fiocco quando parcheggiamo a Santel (1033 m). Imbocchiamo di gran lena la forestale e poi la strada delle Mozzane; come ormai d'abitudine ignoriamo il sentiero ufficiale e proseguiamo verso malga Val dei Brenzi per poi prendere un anonimo sentiero.
Eccoci nella "nostra" valletta circondata da pallide rocce calcaree e abeti bianchi, il ricordo corre immancabilmente e con una certa nostalgia alla Slovenia.
Arriviamo alla baita Campedel (1364 m). Stiamo camminando sotto una lieve nevicata e il paesaggio intorno a noi è coperto da un sottile strato di candido biancore.
Poco oltre imbocchiamo l'amena valletta che sale alla Croce di Fai.
Che pace, che silenzio. Il sentiero è solcato da numerose piste d'animali.
Giungiamo in cima, ci saranno una quindicina di centimetri di neve. Fa troppo freddo per pranzare, così sorseggiamo solamente un po' di infuso caldo e mangiamo qualche biscotto.
Per il rientro percorriamo la "famigerata" strada forestale che taglia il versante sud orientale del Fausior. Sulla via del ritorno individuiamo un sentiero che potrebbe essere papabile per l'orso: andiamo in avanscoperta e come subodorato rinveniamo vecchi peli su di un tronco divelto.
Ritornati sulla strada in breve raggiungiamo Santel.
Il cielo è cupo e cade qualche fiocco quando parcheggiamo a Santel (1033 m). Imbocchiamo di gran lena la forestale e poi la strada delle Mozzane; come ormai d'abitudine ignoriamo il sentiero ufficiale e proseguiamo verso malga Val dei Brenzi per poi prendere un anonimo sentiero.
Eccoci nella "nostra" valletta circondata da pallide rocce calcaree e abeti bianchi, il ricordo corre immancabilmente e con una certa nostalgia alla Slovenia.
Arriviamo alla baita Campedel (1364 m). Stiamo camminando sotto una lieve nevicata e il paesaggio intorno a noi è coperto da un sottile strato di candido biancore.
Poco oltre imbocchiamo l'amena valletta che sale alla Croce di Fai.
Che pace, che silenzio. Il sentiero è solcato da numerose piste d'animali.
Giungiamo in cima, ci saranno una quindicina di centimetri di neve. Fa troppo freddo per pranzare, così sorseggiamo solamente un po' di infuso caldo e mangiamo qualche biscotto.
Per il rientro percorriamo la "famigerata" strada forestale che taglia il versante sud orientale del Fausior. Sulla via del ritorno individuiamo un sentiero che potrebbe essere papabile per l'orso: andiamo in avanscoperta e come subodorato rinveniamo vecchi peli su di un tronco divelto.
Ritornati sulla strada in breve raggiungiamo Santel.
giovedì 29 novembre 2012
24/11/2012 A Malga di Brez e Monte Ori (Maddalene)
Oggi siamo in compagnia di Renato e ci troviamo in alta val di Non, alla forcella di Brez (1398 m).
C'incamminiamo lungo la forestale e dopo neanche pochi metri facciamo una deviazione che ci fa imbattere in due caprioli in fuga.
Ritorniamo sulla strada e la seguiamo per un po': i profili del Cornicoletto e della Belmonte si stagliano limpidi su di un cielo azzurro. Visto che le strade "trafficate" non ci piacciono compiamo una lunga deviazione che ci porta ad esplorare il biotopo della Palù Longhia: un capriolo femmina con i suoi due piccoli attraversa di corsa la palude. Cominciamo ad imbatterci nelle prime consistenti macchie di neve, attraversiamo rivoli e rivoletti evitando, ma non sempre, di farci un pediluvio.
Reintercettiamo la strada forestale e poco dopo imbocchiamo il sentiero che, percorrendo una stretta valletta, ci porta sugli ampi pascoli di malga Monte Ori o malga di Brez (1845 m) dove il panorama si apre verso le Dolomiti fassane e il Lagorai.
Pranziamo al tepore del sole e poi risaliamo le praterie del Monte Ori dove la vista s'apre sulle Maddalene, il Brenta e altre innumerevoli cime. Con la coda dell'occhio vedo un movimento fulmineo, due caprioli si stanno rincorrendo vicino al limite del bosco.
Per la discesa svalichiamo in terra alto atesina e prendiamo il sentiero 026 che ci conduce alla Sam Alm (1778 m), una vecchia e fatiscente malga. Qui, dopo un iniziale tentennamento, imbocchiamo una lunga e alquanto noiosa strada forestale che ci riporta al passo di Brez.
C'incamminiamo lungo la forestale e dopo neanche pochi metri facciamo una deviazione che ci fa imbattere in due caprioli in fuga.
Ritorniamo sulla strada e la seguiamo per un po': i profili del Cornicoletto e della Belmonte si stagliano limpidi su di un cielo azzurro. Visto che le strade "trafficate" non ci piacciono compiamo una lunga deviazione che ci porta ad esplorare il biotopo della Palù Longhia: un capriolo femmina con i suoi due piccoli attraversa di corsa la palude. Cominciamo ad imbatterci nelle prime consistenti macchie di neve, attraversiamo rivoli e rivoletti evitando, ma non sempre, di farci un pediluvio.
Reintercettiamo la strada forestale e poco dopo imbocchiamo il sentiero che, percorrendo una stretta valletta, ci porta sugli ampi pascoli di malga Monte Ori o malga di Brez (1845 m) dove il panorama si apre verso le Dolomiti fassane e il Lagorai.
Pranziamo al tepore del sole e poi risaliamo le praterie del Monte Ori dove la vista s'apre sulle Maddalene, il Brenta e altre innumerevoli cime. Con la coda dell'occhio vedo un movimento fulmineo, due caprioli si stanno rincorrendo vicino al limite del bosco.
Per la discesa svalichiamo in terra alto atesina e prendiamo il sentiero 026 che ci conduce alla Sam Alm (1778 m), una vecchia e fatiscente malga. Qui, dopo un iniziale tentennamento, imbocchiamo una lunga e alquanto noiosa strada forestale che ci riporta al passo di Brez.
sabato 17 novembre 2012
17/11/2012 Per vecchi sentieri a Faedolo (Brenta)
Eccomi con Max in quel di Iron, villaggio da poco nominato"Meraviglia italiana" dal Forum Nazionale dei Giovani.
La giornata è spettacolare, non c'è una nuvola in cielo e i miei occhi indugiano più volte lungo i crinali dei monti ipnotizzati dai caldi colori autunnali.
Calzati gli scarponi c'inerpichiamo lungo le vecchie vie del borgo e percorriamo antichi tratturi; dalla valle riecheggia il suono delle motoseghe, la gente sta preparando le riserve di legna per l'inverno imminente.
Con strani odori nell'aria ("Quando sei in dubbio, segui il tuo naso" diceva Gandalf.. ma io non l'ho ascoltato..) giungiamo al Bait Dos Zindole dove ci concediamo un infuso caldo.
Riprendiamo il cammino e approdiamo al passo Faedolo. Qui imbocchiamo un sentierino e giungiamo su una piccola radura dove ci fermiamo a pranzare al sole.
Seduta sul prato osservo l'andirivieni di un pettirosso che pacifico fa la spola da un albero all'altro, non ci considera minimamente.
"La natura è un posto che allude a un'assenza di noi" ha scritto Erri De Luca e ha ragione.
Ci addentriamo poi lungo una traccia di sentiero che però ci porta fuori strada, così sotto il fischio minaccioso di un grosso camoscio ritorniamo al prato dove imbocchiamo la giusta via.
Giungiamo ad un capanno di caccia dove ci fermiamo a sbinocolare, poi scendiamo verso un altro dove incrociamo alcuni cacciatori.
Qui sbagliamo sentiero, ma ben presto intercettiamo quello giusto. Siamo sulle pendici settentrionali dell'Iron e bisogna prestare un po' di attenzione perché c'è il fondo ghiacciato.
Dopo qualche deviazione finalmente giungiamo sulla strada forestale.
Nei pressi di un sentiero mi fermo a sbinocolare le dorate praterie del Castello dei Camosci: noto alcuni mufloni e un grosso camoscio.
Il sole s'è coricato oltre il monte e la temperatura è crollata.
E' giunta l'ora di rincasare.
La giornata è spettacolare, non c'è una nuvola in cielo e i miei occhi indugiano più volte lungo i crinali dei monti ipnotizzati dai caldi colori autunnali.
Calzati gli scarponi c'inerpichiamo lungo le vecchie vie del borgo e percorriamo antichi tratturi; dalla valle riecheggia il suono delle motoseghe, la gente sta preparando le riserve di legna per l'inverno imminente.
Con strani odori nell'aria ("Quando sei in dubbio, segui il tuo naso" diceva Gandalf.. ma io non l'ho ascoltato..) giungiamo al Bait Dos Zindole dove ci concediamo un infuso caldo.
Riprendiamo il cammino e approdiamo al passo Faedolo. Qui imbocchiamo un sentierino e giungiamo su una piccola radura dove ci fermiamo a pranzare al sole.
Seduta sul prato osservo l'andirivieni di un pettirosso che pacifico fa la spola da un albero all'altro, non ci considera minimamente.
"La natura è un posto che allude a un'assenza di noi" ha scritto Erri De Luca e ha ragione.
Ci addentriamo poi lungo una traccia di sentiero che però ci porta fuori strada, così sotto il fischio minaccioso di un grosso camoscio ritorniamo al prato dove imbocchiamo la giusta via.
Giungiamo ad un capanno di caccia dove ci fermiamo a sbinocolare, poi scendiamo verso un altro dove incrociamo alcuni cacciatori.
Qui sbagliamo sentiero, ma ben presto intercettiamo quello giusto. Siamo sulle pendici settentrionali dell'Iron e bisogna prestare un po' di attenzione perché c'è il fondo ghiacciato.
Dopo qualche deviazione finalmente giungiamo sulla strada forestale.
Nei pressi di un sentiero mi fermo a sbinocolare le dorate praterie del Castello dei Camosci: noto alcuni mufloni e un grosso camoscio.
Il sole s'è coricato oltre il monte e la temperatura è crollata.
E' giunta l'ora di rincasare.
mercoledì 31 ottobre 2012
20/10/2012 Con i camosci in Val Dorè (Brenta)
La giornata si preannuncia molto calda e tersa. Siamo io, Claudio, Max P. e il suo amico Marco.
Parcheggiamo l'auto al rifugio Alpenrose dove imbocchiamo la strada lastricata che sale a Froschera.
Percorso poco meno di un chilometro prendiamo il sentiero Vela-Prada e risaliamo per il bosco.
Ben presto sbuchiamo sul margine del vasto terrazzo di pascoli e giungiamo a Prada (1541 m). Alle nostre spalle, la val Lomasona giace sommersa in un mare di nubi.
Prendiamo il sentiero 345 verso nord-est e ci ritroviamo all'imbocco della Val Dorè, qui avvistiamo il primo di una lunga serie camosci.
La valle è ampia e verde, mentre sulle creste che precedono cima Ghez c'è la neve.
Fa molto caldo e la salita è ripida.
Raggiungiamo una vasta depressione e ci perdiamo ad ammirare branchi di camosci, prima ne avvistiamo 25 e poi più in alto altri e altri ancora.
Alla testata della valle troneggiano i Rossati e il Soràn; sui ripidi pendii che dobbiamo affrontare c'è della neve.
Poco prima di attaccare la rampa finale noto con la coda dell'occhio un movimento fulmineo, mi fermo e lo vedo: un ermellino corre su alcune laste, attraversa un rivolo e poi sparisce fra le rocce.
Risaliamo prestando molta attenzione a non scivolare di sotto, l'erba con la neve è infida.
Giungiamo alla selletta che separa i Rossati dal Soràn e la vista si apre sul lago di Molveno, la val Ceda e la Paganella.
Io e Claudio ci fermiamo qui, Max e Marco vanno a conquistare i Rossati e poi si riuniscono a noi.
Fa un caldo assurdo, sbinocoliamo da una parte e l'altra della valle e poi cominciamo a calare prestando molta attenzione a non scivolare.
Giungiamo alla buca dei camosci e ridiscendiamo la val Dorè; a circa 2000 metri Max e Marco prendono un sentiero alternativo che porta al Monte Prada, mentre io e Claudio scendiamo a Froschera e per strada all'Alpenrose, dove ci troviamo tutti assieme davanti a una meritata birrozza.
Valle selvaggia e solitaria che val sicuramente la pena di esplorare!
Parcheggiamo l'auto al rifugio Alpenrose dove imbocchiamo la strada lastricata che sale a Froschera.
Percorso poco meno di un chilometro prendiamo il sentiero Vela-Prada e risaliamo per il bosco.
Ben presto sbuchiamo sul margine del vasto terrazzo di pascoli e giungiamo a Prada (1541 m). Alle nostre spalle, la val Lomasona giace sommersa in un mare di nubi.
Prendiamo il sentiero 345 verso nord-est e ci ritroviamo all'imbocco della Val Dorè, qui avvistiamo il primo di una lunga serie camosci.
La valle è ampia e verde, mentre sulle creste che precedono cima Ghez c'è la neve.
Fa molto caldo e la salita è ripida.
Raggiungiamo una vasta depressione e ci perdiamo ad ammirare branchi di camosci, prima ne avvistiamo 25 e poi più in alto altri e altri ancora.
Alla testata della valle troneggiano i Rossati e il Soràn; sui ripidi pendii che dobbiamo affrontare c'è della neve.
Poco prima di attaccare la rampa finale noto con la coda dell'occhio un movimento fulmineo, mi fermo e lo vedo: un ermellino corre su alcune laste, attraversa un rivolo e poi sparisce fra le rocce.
Risaliamo prestando molta attenzione a non scivolare di sotto, l'erba con la neve è infida.
Giungiamo alla selletta che separa i Rossati dal Soràn e la vista si apre sul lago di Molveno, la val Ceda e la Paganella.
Io e Claudio ci fermiamo qui, Max e Marco vanno a conquistare i Rossati e poi si riuniscono a noi.
Fa un caldo assurdo, sbinocoliamo da una parte e l'altra della valle e poi cominciamo a calare prestando molta attenzione a non scivolare.
Giungiamo alla buca dei camosci e ridiscendiamo la val Dorè; a circa 2000 metri Max e Marco prendono un sentiero alternativo che porta al Monte Prada, mentre io e Claudio scendiamo a Froschera e per strada all'Alpenrose, dove ci troviamo tutti assieme davanti a una meritata birrozza.
Valle selvaggia e solitaria che val sicuramente la pena di esplorare!
venerdì 26 ottobre 2012
06-07/10/2012 Due giorni di sassi & "caini veneti" in quel di Cima Cece (Lagorai)
Eccoci pronti per la seconda ignuz-bivaccata autunnale, siamo gli stessi dello scorso anno - io, Claudio, Linda, Xavi, Flavio, Elisa e Max – meta prescelta il rinnovato bivacco “Paolo e Nicola” in Lagorai.
"Bene".
Il venerdì sera, nel bel mezzo dei preparativi pro-zaino, per curiosità Claudio prova a cercare su internet se c'è qualcun altro che ha avuto la nostra stessa idea e tac... troviamo che una sezione CAI lomb.. ehm veneta ha in programma di fare un'escursione serale in Valmaggiore e di pernottare nel “nostro” bivacco.
Scatta il panico, mille telefonate, mille sotterfugi, "facci l'accento svedese".. alla fine decidiamo di partire presto per poter occupare per primi il bivacco, cosa che peraltro, dopo l'esperienza dello scorso anno, avevamo già in mente di fare.
L'indomani ci troviamo in quel di quasi Lavis e partiamo alla volta della val di Fiemme; a Predazzo ci fermiamo per un caffè e per la spesa e poi via su per la Valmaggiore.
Giungiamo così nella piana della Malga Valmaggiore (1608 m) che è invasa da cavalli e asini, parcheggiamo l'auto e controlliamo le targhe delle auto presenti: nessuna targa veneta, ma non si sa mai, magari hanno mandato qualcun altro in avanscoperta. Poco dopo riceviamo un incoraggiante sms dell'amico Bru che sta salendo a cima Cece e che ci avvisa che il bivacco è ancora libero.
Ci carichiamo i pesanti zaini sulle spalle e imbocchiamo il sentiero 335 che porta alla Forcella Valmaggiore. Per comoda mulattiera entriamo nel bosco e cominciamo a risalire la valle, attraversiamo un rio e giungiamo al limite della vegetazione.
Nei pressi del piccolo Laghetto di Valmaggiore facciamo una pausa prima della rampa finale. I larici e le praterie si stanno tingendo di arancione, l'autunno sta arrivando. Durante questa pausa qualche bontempone ripone un sasso nello zaino di Elisa.
Siamo pronti ad attaccare il vallone: la mulattiera si trasforma in sentiero, lo zaino si fa sempre più pesante...specie quello di qualcuno.
Il primo a giungere alla forcella (2180 m) è Claudio che ci comunica la bella notizia: bivacco libero! Arriviamo alla spicciolata, occupiamo le cuccette, ci cambiamo e ci rilassiamo al sole. Stiamo per pranzare ed ecco giungere dall'alto Bru; doveva essere dei nostri per il week end, ma causa impegni domenicali è potuto salire solo quest'oggi.
E' prestissimo, trascorriamo così il pomeriggio a girovagare qua e là.
La val Fossernica, della quale già mi ero innamorata lo scorso anno, si dispiega incantevolmente verso il rifugio Refavaie e sullo sfondo si staglia Cima d'Asta, ma il tempo sta girando, i monti cominciano a coprirsi di nubi e le nebbie risalgono dalla val di Fiemme.
Bru ci saluta e accendiamo il fuoco. Nel tardo pomeriggio un simpatico bergamasco giunge da cima Cece, lo accogliamo nel bivacco, gli offriamo del the caldo e scambiamo quattro (e più) chiacchiere.
Intanto dalle nebbie giungono quattro ragazzi carichi come muli, "Saranno i veneti?", entrano in bivacco: sono quattro alto atesini - Ralph, Karl, Christian e Alex - e anche loro passeranno la notte qui.
Nell'attesa che giunga l'ora di cena ci spostiamo verso la val Fossernica, le nubi hanno invaso anche questa e un grigio tramonto sta illuminando cima d'Asta.
Nell'aria s'ode il rugolio dei galli forcelli e i lontani campanacci di qualche vacca, Max sente anche un bramito.
E' ora di mangiare. Il clima è dei più festosi, i nuovi arrivati sono molto simpatici e organizzatissimi, così sul fuoco s'alternano gulasch, patate, pane, speck e brodaglia varia al glutammato, il tutto annaffiato con vino e birra.
Si parla e si scherza, alla fine si vengono a scoprire "amici" in comune, mezzi parenti e così via.. com'è piccolo il mondo!
In bivacco fa un caldo boia... 25° gradi... la stufa e la nuova struttura in legno danno i loro frutti.
Giunge l'ora di andare a letto, pian piano ci ritiriamo nelle cuccette.
Buonanotte! Gute nacht.
Io e Max ci svegliamo presto per poter ammirare l'alba... usciamo all'aperto dove veniamo accolti dalle nebbie e da qualche goccia d'acqua. Mmm... nonostante le premesse ci spostiamo verso la val Fossernica, stiamo impalati come due ebeti ad aspettare che sorga il sole, ma niente. Assistiamo all'alba più triste e grigia della storia dell'uomo. Persino il Latemar è grigio e cupo tra i suoi pinnacoli. Con le pive nel sacco ritorniamo a letto.
Ci alziamo poco dopo, facciamo colazione e riassettiamo il bivacco.
Tutti stanno all'erta... sia mai che dei sassi non finiscano casualmente nel proprio zaino.
Salutiamo i nostri nuovi amici che se ne vanno verso il Lago Moregna, noi invece c'immettiamo sul sentiero 349 che porta alla Cece, la cima più alta dei Lagorai (escludendo Cima d'Asta ovviamente).
Risaliamo un costone erboso ed entriamo nell'aspro e severo vallone di Cece. Il sentiero diviene mulattiera di guerra, qua e là sono ancora visibili resti di postazioni, trincee e baraccamenti. Da questa angolazione Cima Cece appare come un accumulo di pietre celato dalle nubi, mentre più ardite si ergono le guglie del Campanile e del Dente di Cece.
La mulattiera ridiventa sentiero e per pietraie e massi instabili guadagniamo la testata del vallone; dopo un camino terroso e friabile giungiamo infine su un pianoro a circa 2600 metri.
Max ha dei dolori quindi decide di fermarsi qui, gli lasciamo così gli zaini in custodia e partiamo alla volta di Cima Cece. Per tracciato militare ci avviciniamo alla meta e dopo un ultimo tratto di sfasciumi tocchiamo la vetta (2754 m). Linda e Xavi seguono invece la via di cresta, è uno spettacolo vederli arrivare con alle spalle la nebbia che si contende il crinale.
Il panorama è a 360°, dalle nubi emergono il Latemar, la Marmolada, le Pale, Cima d'Asta e via via verso il Brenta.
Facciamo qualche foto e poi ritorniamo da Max. Fortunatamente è uscito il sole quindi pranziamo riscaldati dal tepore dei suoi raggi.
Oziamo per un po' poi riprendiamo la marcia lungo il sentiero 349. Con un paio di sali e scendi, avvistando anche un bel camoscio, guadagniamo una forcella dalla quale fanno capolino il lago di Paneveggio e le severe cime del Lagorai che digradano verso il passo Rolle. Da questa scendiamo, prestando la massima attenzione, lungo un canalino terroso.
Attraversiamo lungamente in costa fino a giungere, sotto la cresta est di Cima Cece, alla forcella di Cece (2393 m). Lungo il sentiero la vista si apre sul vallone sottostante dove fa la sua apparizione il piccolo lago Caserina, mentre dall'altro lato della forcella s'apre l'alpe Miesnotta e la Valzanca.
Alla forcella prendiamo il sentiero 336 e c'imbattiamo ben presto in un nevaio sopravvissuto all'inverno. Giungiamo così al Laghetto di Caserina (2087 m).
Oltre il lago, ignorato il bivio per il sentiero Don Battistin, continuiamo a scendere lungo una bella valletta. Calando di quota riprende anche la vegetazione, siamo circondati da larici che si stanno tingendo di arancio e da cirmoli color verde cupo. Guadiamo il rio e arriviamo al piccolo, ma molto confortevole Baito di Caserina (2046 m).
Superatolo, la traccia si perde un po', ma la ritroviamo nel bosco, dove, circondati da miriadi di funghi, giungiamo al lago di Cece (1879 m) dove sorge un altro baito.
Ci fermiamo un po', poi prendiamo il sentiero che parte dietro la baita e intercettiamo una vecchia mulattiera; oltrepassiamo la radura del Campigol Grande e rientriamo nel bosco fino a giungere su una strada sterrata dove stanno facendo lavori di esbosco.
Seguiamo la comoda strada fino giungere nei pressi del ponte che porta alla Malga Valmaggiore, qui gli autisti vanno a recuperare l'auto, noi aspettiamo... e ci becchiamo pure un acquazzone.
Si conclude così, sotto l'acqua, la seconda edizione degli ignuz bivacchi autunnali.
“Le grandi cattedrali della terra con i loro portali di roccia, i mosaici di nubi, i cori dei torrenti, gli altari di neve, le volte di porpora scintillanti di stelle. Questo è il mio mondo, la montagna.
Un mare orizzontale, eterno, immutabile, in cui nulla sembra cambiare ma che riserva sempre sorprese” John Ruskin
"Bene".
Il venerdì sera, nel bel mezzo dei preparativi pro-zaino, per curiosità Claudio prova a cercare su internet se c'è qualcun altro che ha avuto la nostra stessa idea e tac... troviamo che una sezione CAI lomb.. ehm veneta ha in programma di fare un'escursione serale in Valmaggiore e di pernottare nel “nostro” bivacco.
Scatta il panico, mille telefonate, mille sotterfugi, "facci l'accento svedese".. alla fine decidiamo di partire presto per poter occupare per primi il bivacco, cosa che peraltro, dopo l'esperienza dello scorso anno, avevamo già in mente di fare.
L'indomani ci troviamo in quel di quasi Lavis e partiamo alla volta della val di Fiemme; a Predazzo ci fermiamo per un caffè e per la spesa e poi via su per la Valmaggiore.
Giungiamo così nella piana della Malga Valmaggiore (1608 m) che è invasa da cavalli e asini, parcheggiamo l'auto e controlliamo le targhe delle auto presenti: nessuna targa veneta, ma non si sa mai, magari hanno mandato qualcun altro in avanscoperta. Poco dopo riceviamo un incoraggiante sms dell'amico Bru che sta salendo a cima Cece e che ci avvisa che il bivacco è ancora libero.
Ci carichiamo i pesanti zaini sulle spalle e imbocchiamo il sentiero 335 che porta alla Forcella Valmaggiore. Per comoda mulattiera entriamo nel bosco e cominciamo a risalire la valle, attraversiamo un rio e giungiamo al limite della vegetazione.
Nei pressi del piccolo Laghetto di Valmaggiore facciamo una pausa prima della rampa finale. I larici e le praterie si stanno tingendo di arancione, l'autunno sta arrivando. Durante questa pausa qualche bontempone ripone un sasso nello zaino di Elisa.
Siamo pronti ad attaccare il vallone: la mulattiera si trasforma in sentiero, lo zaino si fa sempre più pesante...specie quello di qualcuno.
Il primo a giungere alla forcella (2180 m) è Claudio che ci comunica la bella notizia: bivacco libero! Arriviamo alla spicciolata, occupiamo le cuccette, ci cambiamo e ci rilassiamo al sole. Stiamo per pranzare ed ecco giungere dall'alto Bru; doveva essere dei nostri per il week end, ma causa impegni domenicali è potuto salire solo quest'oggi.
E' prestissimo, trascorriamo così il pomeriggio a girovagare qua e là.
La val Fossernica, della quale già mi ero innamorata lo scorso anno, si dispiega incantevolmente verso il rifugio Refavaie e sullo sfondo si staglia Cima d'Asta, ma il tempo sta girando, i monti cominciano a coprirsi di nubi e le nebbie risalgono dalla val di Fiemme.
Bru ci saluta e accendiamo il fuoco. Nel tardo pomeriggio un simpatico bergamasco giunge da cima Cece, lo accogliamo nel bivacco, gli offriamo del the caldo e scambiamo quattro (e più) chiacchiere.
Intanto dalle nebbie giungono quattro ragazzi carichi come muli, "Saranno i veneti?", entrano in bivacco: sono quattro alto atesini - Ralph, Karl, Christian e Alex - e anche loro passeranno la notte qui.
Nell'attesa che giunga l'ora di cena ci spostiamo verso la val Fossernica, le nubi hanno invaso anche questa e un grigio tramonto sta illuminando cima d'Asta.
Nell'aria s'ode il rugolio dei galli forcelli e i lontani campanacci di qualche vacca, Max sente anche un bramito.
E' ora di mangiare. Il clima è dei più festosi, i nuovi arrivati sono molto simpatici e organizzatissimi, così sul fuoco s'alternano gulasch, patate, pane, speck e brodaglia varia al glutammato, il tutto annaffiato con vino e birra.
Si parla e si scherza, alla fine si vengono a scoprire "amici" in comune, mezzi parenti e così via.. com'è piccolo il mondo!
In bivacco fa un caldo boia... 25° gradi... la stufa e la nuova struttura in legno danno i loro frutti.
Giunge l'ora di andare a letto, pian piano ci ritiriamo nelle cuccette.
Buonanotte! Gute nacht.
Io e Max ci svegliamo presto per poter ammirare l'alba... usciamo all'aperto dove veniamo accolti dalle nebbie e da qualche goccia d'acqua. Mmm... nonostante le premesse ci spostiamo verso la val Fossernica, stiamo impalati come due ebeti ad aspettare che sorga il sole, ma niente. Assistiamo all'alba più triste e grigia della storia dell'uomo. Persino il Latemar è grigio e cupo tra i suoi pinnacoli. Con le pive nel sacco ritorniamo a letto.
Ci alziamo poco dopo, facciamo colazione e riassettiamo il bivacco.
Tutti stanno all'erta... sia mai che dei sassi non finiscano casualmente nel proprio zaino.
Salutiamo i nostri nuovi amici che se ne vanno verso il Lago Moregna, noi invece c'immettiamo sul sentiero 349 che porta alla Cece, la cima più alta dei Lagorai (escludendo Cima d'Asta ovviamente).
Risaliamo un costone erboso ed entriamo nell'aspro e severo vallone di Cece. Il sentiero diviene mulattiera di guerra, qua e là sono ancora visibili resti di postazioni, trincee e baraccamenti. Da questa angolazione Cima Cece appare come un accumulo di pietre celato dalle nubi, mentre più ardite si ergono le guglie del Campanile e del Dente di Cece.
La mulattiera ridiventa sentiero e per pietraie e massi instabili guadagniamo la testata del vallone; dopo un camino terroso e friabile giungiamo infine su un pianoro a circa 2600 metri.
Max ha dei dolori quindi decide di fermarsi qui, gli lasciamo così gli zaini in custodia e partiamo alla volta di Cima Cece. Per tracciato militare ci avviciniamo alla meta e dopo un ultimo tratto di sfasciumi tocchiamo la vetta (2754 m). Linda e Xavi seguono invece la via di cresta, è uno spettacolo vederli arrivare con alle spalle la nebbia che si contende il crinale.
Il panorama è a 360°, dalle nubi emergono il Latemar, la Marmolada, le Pale, Cima d'Asta e via via verso il Brenta.
Facciamo qualche foto e poi ritorniamo da Max. Fortunatamente è uscito il sole quindi pranziamo riscaldati dal tepore dei suoi raggi.
Oziamo per un po' poi riprendiamo la marcia lungo il sentiero 349. Con un paio di sali e scendi, avvistando anche un bel camoscio, guadagniamo una forcella dalla quale fanno capolino il lago di Paneveggio e le severe cime del Lagorai che digradano verso il passo Rolle. Da questa scendiamo, prestando la massima attenzione, lungo un canalino terroso.
Attraversiamo lungamente in costa fino a giungere, sotto la cresta est di Cima Cece, alla forcella di Cece (2393 m). Lungo il sentiero la vista si apre sul vallone sottostante dove fa la sua apparizione il piccolo lago Caserina, mentre dall'altro lato della forcella s'apre l'alpe Miesnotta e la Valzanca.
Alla forcella prendiamo il sentiero 336 e c'imbattiamo ben presto in un nevaio sopravvissuto all'inverno. Giungiamo così al Laghetto di Caserina (2087 m).
Oltre il lago, ignorato il bivio per il sentiero Don Battistin, continuiamo a scendere lungo una bella valletta. Calando di quota riprende anche la vegetazione, siamo circondati da larici che si stanno tingendo di arancio e da cirmoli color verde cupo. Guadiamo il rio e arriviamo al piccolo, ma molto confortevole Baito di Caserina (2046 m).
Superatolo, la traccia si perde un po', ma la ritroviamo nel bosco, dove, circondati da miriadi di funghi, giungiamo al lago di Cece (1879 m) dove sorge un altro baito.
Ci fermiamo un po', poi prendiamo il sentiero che parte dietro la baita e intercettiamo una vecchia mulattiera; oltrepassiamo la radura del Campigol Grande e rientriamo nel bosco fino a giungere su una strada sterrata dove stanno facendo lavori di esbosco.
Seguiamo la comoda strada fino giungere nei pressi del ponte che porta alla Malga Valmaggiore, qui gli autisti vanno a recuperare l'auto, noi aspettiamo... e ci becchiamo pure un acquazzone.
Si conclude così, sotto l'acqua, la seconda edizione degli ignuz bivacchi autunnali.
“Le grandi cattedrali della terra con i loro portali di roccia, i mosaici di nubi, i cori dei torrenti, gli altari di neve, le volte di porpora scintillanti di stelle. Questo è il mio mondo, la montagna.
Un mare orizzontale, eterno, immutabile, in cui nulla sembra cambiare ma che riserva sempre sorprese” John Ruskin
sabato 22 settembre 2012
22/09/2012 Con Flavio sulle dorsali della Vigolana
Il gruppo della Vigolana, con i suoi pinnacoli di calcare, domina la Valsugana e la città di Trento. E' da qualche anno che non percorro questi vicini e selvaggi sentieri così con Flavio decidiamo di salire al Cornetto e al Becco di Filadonna.
Parcheggiamo l'auto al Sindech (1100 m), seguiamo per un tratto la statale della Fricca e imbocchiamo il sentiero 439 che s'alza subito con buona pendenza.
Giungiamo alla Baita Tre Avezi (1455 m) dove facciamo una breve pausa e poi saliamo per faggeta fino a un punto panoramico: l'altopiano di Lavarone è ricoperto dalla foschia e lembi di nubi si contendono le bianche cime della Vigolana.
In località Pralongo proseguiamo in campo aperto, bisogna prestare attenzione perché lungo il sentiero ci sono parecchi nidi di vespe di terra.
Attraversiamo poi una fascia di mughi e giungiamo in cresta: il vento c'investe all'improvviso! L'occhio cade curioso sul selvaggio versante occidentale della Vigolana: dalla valle della Gola a malga Palazzo è un susseguirsi di aspre vallette.
Imbocchiamo il sentiero 425 che in parte percorre trincee e giungiamo in cima al Cornetto (2060 m).
Dopo una breve sosta, ritorniamo lungo il sentiero, l'alpe sotto di noi è ancora monticata; dopo aver attraversato un'altra mugheta giungiamo sotto il Becco di Filadonna. Appena girato l'angolo la vista s'apre sull'abitato di Vigolo Vattaro e la Marzola, un sentiero un po' esposto conduce ora alla Croce di Filadonna.
Fa freddo e tira un vento terribile, decidiamo quindi di spostarci in un posto più riparato per pranzare. Sto facendo alcuni scatti al Brenta sfruttando l'arrivo di due escursionisti, quando mettendo a fuoco noto che questi sono gente conosciuta, si tratta di Claudio e sua moglie, due satini lavisani. Scambiamo quattro chiacchiere e poi ritorniamo sui nostri passi.
Visto il vento e il freddo evitiamo di salire alla vera e propria cima e al passo Bus de le Zole imbocchiamo il sentiero 442 che scende sul versante orientale della Vigolana.
Sono passati 10 anni dall'incendio che devastò queste zone e 7 dall'ultima volta che sono passata di qui, ma il tempo non ha ancora curato le ferite: attraversiamo una landa desolata cosparsa da mozziconi affumicati di mughi e larici.
Giungiamo così al rifugio Casarota (1572 m) dove ci concediamo una fetta di torta e un po' di relax, sopra di noi volteggia un'aquila.
Salutati gli affabili gestori ritorniamo a valle lungo il sentiero 442.
Bella gitozza in compagnia del co-fondatore del mitico e sgangherato A-Team.."Ma ave ciapà l'acqua? el temporal? sììì?? che bel.. adventureee!!" "Ma vaff..".
Belli dixit. 15/08/2005
Parcheggiamo l'auto al Sindech (1100 m), seguiamo per un tratto la statale della Fricca e imbocchiamo il sentiero 439 che s'alza subito con buona pendenza.
Giungiamo alla Baita Tre Avezi (1455 m) dove facciamo una breve pausa e poi saliamo per faggeta fino a un punto panoramico: l'altopiano di Lavarone è ricoperto dalla foschia e lembi di nubi si contendono le bianche cime della Vigolana.
In località Pralongo proseguiamo in campo aperto, bisogna prestare attenzione perché lungo il sentiero ci sono parecchi nidi di vespe di terra.
Attraversiamo poi una fascia di mughi e giungiamo in cresta: il vento c'investe all'improvviso! L'occhio cade curioso sul selvaggio versante occidentale della Vigolana: dalla valle della Gola a malga Palazzo è un susseguirsi di aspre vallette.
Imbocchiamo il sentiero 425 che in parte percorre trincee e giungiamo in cima al Cornetto (2060 m).
Dopo una breve sosta, ritorniamo lungo il sentiero, l'alpe sotto di noi è ancora monticata; dopo aver attraversato un'altra mugheta giungiamo sotto il Becco di Filadonna. Appena girato l'angolo la vista s'apre sull'abitato di Vigolo Vattaro e la Marzola, un sentiero un po' esposto conduce ora alla Croce di Filadonna.
Fa freddo e tira un vento terribile, decidiamo quindi di spostarci in un posto più riparato per pranzare. Sto facendo alcuni scatti al Brenta sfruttando l'arrivo di due escursionisti, quando mettendo a fuoco noto che questi sono gente conosciuta, si tratta di Claudio e sua moglie, due satini lavisani. Scambiamo quattro chiacchiere e poi ritorniamo sui nostri passi.
Visto il vento e il freddo evitiamo di salire alla vera e propria cima e al passo Bus de le Zole imbocchiamo il sentiero 442 che scende sul versante orientale della Vigolana.
Sono passati 10 anni dall'incendio che devastò queste zone e 7 dall'ultima volta che sono passata di qui, ma il tempo non ha ancora curato le ferite: attraversiamo una landa desolata cosparsa da mozziconi affumicati di mughi e larici.
Giungiamo così al rifugio Casarota (1572 m) dove ci concediamo una fetta di torta e un po' di relax, sopra di noi volteggia un'aquila.
Salutati gli affabili gestori ritorniamo a valle lungo il sentiero 442.
Bella gitozza in compagnia del co-fondatore del mitico e sgangherato A-Team.."Ma ave ciapà l'acqua? el temporal? sììì?? che bel.. adventureee!!" "Ma vaff..".
Belli dixit. 15/08/2005
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