Quest'oggi c'incamminiamo direttamente da casa, vorremmo partire ad un ora più consona, ma i negozi spagnoli aprono alle 9.30 quindi, tra una cosa e l'altra, non riusciamo a metterci in marcia prima delle 10.30.
Scendiamo per la stradina che il primo giorno, all'una di notte, ci siamo fatti carichi di valige (rototon ton ton) ed eccoci all'inizio ufficiale del sentiero della Valle del Lago.
C'incamminiamo lungo la comoda strada che percorre il fondovalle occupato da pascoli e boschetti, il nostro incedere è accompagno dal gorgoglio del rio del Valle. Visto il sole a picco decidiamo di percorrere la via più ombrosa e imbocchiamo il sentiero che si snoda nella faggeta sulla sinistra orografica della valle. Saliamo costantemente fino a giungere al muro di contenimento del Lago della Valle (1585 m).
Questo lago, conosciuto anche con il nome Lago del Ajo, con i suoi 24 ettari di superficie è il più grande delle Asturie ed è "controllato" dalla centrale idroelettrica de La Malva. Esso si trova ai piedi di un bellissimo circo glaciale, indizio che nelle epoche passate qui vi doveva essere un ghiacciaio che si estendeva per tutta la valle conferendole poi la tipica forma a U.
In compagnia delle onnipresenti vacche ci sediamo sul muretto della diga e mangiamo qualcosina; poi ci dirigiamo verso la Cabana de Cobrana e poco prima cominciamo a tagliare verso l'alto in cerca del sentiero. La segnaletica è assai carente.
Finalmente intercettiamo la giusta via e risaliamo verso un valico. Il verde prato a bordo lago è invaso dai camosci, ma anche il versante che stiamo percorrendo pullula di branchi.
Giungiamo a un valico e, mentre alle nostre spalle si apre tutta la valle del Lago con il suo gioiello turchese, di fronte a noi si dischiude un vasto e lunare altopiano carsico, il "deserto dei Tartari": doline, dossi, doline, dossi... sembra di essere affacciati su uno dei nostri altopiani dolomiti.
Proseguiamo fino alla casupola Mda d'el Coutu circondata da verdi praterie brulicanti camosci, i segnavia stanno diventando sempre più radi e l'ambiente aspro rende difficile l'orientamento.
Risaliamo, un po' seguendo il sentiero, un po' a casaccio, verso il Picu del Valle Calabazoso dove la vista si dischiude su un altro esteso altopiano. Studiamo la carta e le guide, il cielo si sta ricoprendo di nubi, non siamo ancora al giro di boa e da questa posizione non vediamo nemmeno uno dei laghi di Saliencia. Decidiamo comunque di proseguire e di seguire una traccia gps che fortunatamente avevo scaricato da un sito internet prima di partire.
Seguiamo il percorso di cresta dove troviamo una fatta di lupo.
Il paesaggio è tanto bello quanto desolato. Iniziamo a seguire tracce di sentieri, superiamo vallette, attraversiamo nevai, saliamo dossi e scendiamo doline. Di tanto in tanto ci fermiamo a correggere la rotta. Dei laghi manco l'ombra.
Proseguiamo, tre piccoli uomini in cerca della retta via.
Camminiamo da ore e ce ne aspettano altrettante, psicologicamente è abbastanza devastante.
Ma nel momento di maggior scoramento ecccccolo: il lago Calabazosa (1657 m), conosciuto anche come Lago Negro, con vicino una bella torbiera e una capanna, la Mda Calabazosa.
Sospiro di sollievo.
Ci caliamo alla bene e meglio dal monte e andiamo a innestarci nel sentiero.
Proseguiamo e ci troviamo su un promontorio ubicato fra il lago Calabazosa e il lago la Cueva (1590 m) e qui arriva un'altra botta: il sentiero ufficiale scende e fa tutto il giro di quest'ultimo, vuol dire un'ora secca in più... ma dalla "santa cartina" scopriamo che c'è un sentierino che prosegue tra i due laghi.. bingo! Con vista anche sul lago Cerveriz (1640 m) giungiamo infine a un cartello escursionistico, il primo dopo ore, e ci rincuoriamo un po', in lontananza scorgiamo anche due persone, le prime della giornata.
Nel frattempo però la situazione meteorologica è precipitata, è sempre più cupo e cade qualche goccia di pioggia.
C'innestiamo sulla vecchia pista delle ex miniere di ferro di Santa Rita (!) e risaliamo un ampio vallone erboso in direzione nord-ovest. Stiamo percorrendo la valle di Camayor, valle ricoperta da smeraldine praterie e piccoli laghetti, racchiusa a nord-est da L'Almagrera, Las Porzanas e Pena'l Lliñeiru e a sud-ovest dalla La Llàvana e La Fana Brava.
Dopo mezz'ora di cammino sempre nella stessa direzione, raggiungiamo la Llomba di Camayor, valico da dove s'innalzano le creste di Peña Llana, Cebolléu e il Picos Albos.
Poco dopo rispariscono le indicazioni, ma finalmente riusciamo a vedere la Valle del Lago, si tratta di capire da che parte scendere. Sulla sinistra orografica già diluvia e si sentono i primi brontolii.
Con Claudio intercettiamo un traccia di sentiero che aggirando la Pena La Braña scende lungo un canalone, i tuoni si avvicinano sempre di più.
Scendiamo a rotta di collo consapevoli che non è un buon luogo dove stare in caso di pioggia forte e temporali.
I fulmini baciano le creste alle nostre spalle. Capitomboliamo in mezzo alle vacche, gettiamo lontano i bastoncini e ci buttiamo dentro una capanna di sassi dove, dopo aver sentito una crepa vicinissima, ci raggiunge celermente anche Max.
Al riparo della capanna, un po' più rilassati ristudiamo la mappa e finalmente capiamo esattamente dove siamo. Secondo i nostri calcoli qui vicino dovrebbe cominciare una strada.
Il temporale se ne va, e l'apprensione con esso, usciamo allo scoperto ed ecco, dopo qualche casupola - le baite di Sobrepena - la bramata strada.
Scendiamo stancamente, sulle gambe abbiamo una ventina di chilometri, ne rimangono ancora quattro-cinque.
Prima di giungere sul fondovalle riesco anche a stanare due starne.
Dopo aver rischiato un'incornata da una vacca, finalmente giungiamo, non prima della rampa finale, a casa.
E finisce così una giornata che è sembrata lunga una vita...
“Il tempo intanto correva, il suo battito silenzioso scandisce sempre più precipitoso la vita, non ci si può fermare neanche un attimo, neppure per un’occhiata indietro. ‘Ferma, ferma!’ si vorrebbe gridare, ma si capisce che è inutile. Tutto quanto fugge via, gli uomini, le stagioni, le nubi; e non serve aggrapparsi alle pietre, resistere in cima a qualche scoglio, le dita stanche si aprono, le braccia si afflosciano inerti, si è trascinati ancora nel fiume, che pare lento ma non si ferma mai.” (da "Il deserto dei tartari" di D. Buzzati)
Dopo il massacro del lunedì, martedì lo dedichiamo al turismo automobilistico.
Con tutta calma valichiamo il Puertu di Somiedo e nei pressi de La Vega de Los Viejos (1240 m) imbocchiamo una strada che s'inoltra in un'angusta valle che conduce al grazioso abitato de La Cueta (1442 m). Usciti da questa valle ci dirigiamo verso l'altro parco naturale della zona, quello delle sorgenti del Narcea e dell'Ibias, area protetta per lo più ricoperta da boschi. Vorremmo recarci a una centro visita, ma ben presto ci accorgiamo che il posto è troppo lontano, così facciamo retromarcia. Lungo il tragitto avvistiamo un nido di cicogne con 2 piccoli e a bordo strada due nibbi reali.
Visto che la giornata è ancora lunga decidiamo di andare a dar un'occhiata alla valle del Pigüeña, dove c'è un impianto di alberi da frutto per l'orso. Sui versanti rocciosi in sinistra orografica avvistiamo i sempre presenti camosci.
Concludiamo la giornata sbinocolando lungo la strada che porta a Valle de Lago
La Cueta
Cicogne
continua
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